Una Esposizione Universale molto locale
Di ritorno dalla Cina dove ho assistito all’inaugurazione dell’Expo di Shanghai, non posso fare a meno di chiedermi se un tale evento “planetario” abbia ancora senso al tempo di internet, schermi al plasma, cinema, voli intercontinentali, librerie Billy, sushi californiano e pasta “al dente” .
La risposta me l’hanno fornita le migliaia di visitatori cinesi in fila, per ore, per entrare a visitare questo Luna Park di nazioni: una sorta di versione globale della cara “Italia in miniatura”. L’espressione sui loro volti mi ha fatto ricordare lo stupore di quando bambina i miei genitori mi ci portarono, accompagnandomi per mano, in quello strano Paese delle Meraviglie che come per magia mi si schiudeva davanti. A quell’età in cui tutto il mio mondo era contenuto nelle mura di casa, l’Italia era un pianeta misterioso come lo è quello esposto all’Expo per molti dei visitatori cinesi che ancora oggi non hanno mai valicato i confini nazionali.
A distanza di anni, all’altro capo del pianeta, mi sono ritrovata di fronte a quella stessa esperienza con in meno però la sorpresa: ho riconosciuto subito senza difficoltà i luoghi comuni della comunicazione politicamente corretta. Divertente anche vedere come ogni nazione senza eccezione ha fatto i conti con la crisi per dare senso alla spesa di un’impresa faraonica destinata a essere smantellata tra soli sei mesi. Una farfalla dei nostri giorni, questa Esposizione: effimera e fragile.
Benché la presenza di un filo conduttore e per nulla banale come “Better City Better Life”, desse al tutto una patina di insieme, non è stato possibile per gli Stati partecipanti resistere alla tentazione di allineare in modo più o meno improbabile una serie di oggetti del proprio patrimonio di cultura e benessere. L’intento è chiaramente quello di attrarre e conquistare il consumatore cinese, anche se tale ancora solo in potenza.
Del resto è difficile immaginare un mondo senza Cina anche se confesso di avere avuto la sensazione che molta Cina sia ancora tenuta fuori dal mondo: solo così si può spiegare “la fame” di estero che ha tenuto in coda per ore, sotto il sole, le vocianti masse di quelli che la nostra guida, scuotendo la testa, chiamava “contadini”.
Per consentire di visitare l’Expo nei giorni dell’inaugurazione e immediatamente successivi, sono stati aggiunti al calendario cinese tre giorni di festa, addossati al 1 maggio come sedie pieghevoli appoggiate a un muro, quasi ci si “aspettasse” un afflusso di visitatori “imprevisto”. Un affare di Stato. L’intera nazione ha potuto seguire in diretta i fuochi d’artificio della Cerimonia di apertura. Il prezzo proibitivo del biglietto di ingresso ha fatto fiorire l’offerta di pacchetti Expo tutto compreso. L’Hotel Hilton di Shanghai – un po’ cadente ma ancora baluardo dell’occidente - nel giro di poche ore si è riempito di comitive e gruppi organizzati. Una febbre tutta cinese però. Non ho incrociato nel perimetro dell’Expo uno straniero che non fosse lì per lavoro a rappresentare il proprio Paese: un’Esposizione Universale che definirei molto “locale” a uso e consumo del Paese ospitante che ne ha approfittato per la propria retorica di Stato. Non bisogna infatti dimenticare che per molti cinesi “Better City” ha solo significato lasciare le proprie case per essere trasferiti di forza in blocchi di appartamenti a un’ora e mezza dal posto di lavoro. A Shanghai, più che altrove ma non solo.
Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni