Cresce il no ai rigassificatori nel golfo di Trieste
di Aurelio Juri
Il gas metano lo conosciamo tutti. Lo si usa in cucina, nel riscaldamento, muove automobili e industrie. Dai luoghi in cui si estrae lo si fa giungere ai mercati di fruizione tramite gasdotto, oppure con apposite navi. L' opzione metaniere o gasiere, così si chiamano, comporta nel porto di carico la liquefazione del gas con un processo di congelamento detto criogenico, ovvero a meno 161 gradi, che ne riduce il volume di 600 volte e ne consente il trasporto. Così mutato assume il nome di GNL, ovvero Gas naturale liquefatto. Arrivato a destinazione subisce il processo inverso e, ritornato aeriforme, viene immesso nelle condotte della rete di distribuzione. Diciamo subito che è il combustibile fossile più rispettoso dell' ambiente. Produce l' 80% in meno di emissioni nocive nell' atmosfera ed è quindi un'alternativa importante nella lotta all'effetto serra e agli altri grossi problemi ambientali che il mondo soffre.
Quindi un deciso SI all'uso del metano che si converte però in un NO altrettanto convinto nel momento in cui, coi suoi processi di trasformazione e trasporto, assurge a minaccia, tanto per l'ambiente stesso che vuole proteggere, quanto per le popolazioni che vuole riscaldare e far muovere. Manipolarlo, scongelarlo e riportarlo gas non è cosa da poco. E' un processo ad alto rischio per cui nelle realtà a maggior sviluppo, coscienza ed esperienza lo tengono lontano dalle zone abitate e ambientalmente fragili.
Di impianti di conversione del metano da liquido in gas - i rifassificatori, se ne conoscono diversi tipi, la rigassificazione avviene comunque, nelle tecnologie più frequenti, riscaldando il GNL con l' acqua di mare.
Lo si fa in strutture fisse collocate sulla costa, laddove le gasiere possono approdare, oppure al largo, in mare aperto. Dal punto di vista della sicurezza è la seconda - l'opzione off shore, quella a minor rischio e impatto ambientale. Ma quando si vuole portare un rigassificatore in un bacino densamente popolato e con poco ricambio d'acqua il discorso cambia e l'intenzione rasenta il crimine.
E' il caso del Golfo di Trieste dove due multinazionali spagnole, la Gas Natural e l'Endesa, si son messe in testa di impiantare ognuna il proprio terminal. La prima nella località di Zaule, nella baia di Muggia, ad un tiro di schioppo dalla zona residenziale di Servola, dalla ferriera e dal porto di Trieste, la seconda in mezzo all'omonimo golfo, a qualche centinaio di metri dal confine con la Slovenia.
Entrambi i progetti – ma topico della discussione in corso è l'on shore di Zaule che in termini di formalità su carta è quello nella fase più avanzata e quindi prossima alla realizzazione - godono del sostegno sia del governo italiano che della Regione Friuli Venezia Giulia, mentre ad opporvisi sono i comuni interessati - Trieste, Muggia e San Dorligo della Valle specie per quanto riguarda il sito di Zaule che appartiene, si, a Trieste, ma incide direttamente anche sui due dirimpettai, poi le organizzazioni ambientaliste, prima fra tutte Alpe Adria Green che non smette di avvertire e dimostrare come la documentazione progettuale sia carente, incongruente e forviante, nonchè la Slovenia il cui territorio rientra così pure nel perimetro a rischio, espressamente il comune di Capodistria e l'intero mare sloveno che del golfo di Trieste ne è una piccola parte.
I sostenitori si richiamano all'indispensabilità di potenziare e diversificare i canali di approvvigionamento di metano nonchè alle nuove opportunità occupazionali e di sviluppo del territorio che i rigassificatori produrrebbero. Quanto ai rischi - dicono - le nuove tecnologie e l'alta professionalità nella gestione degli impianti, li rendono irrisori.
Se ne seppe, dell'idea di impiantare i due terminal, circa sette anni fa, e le prime perplessità e paure mosse dagli ambientalisti indussero ad occuparsene anche il parlamento sloveno. Interpellate le migliori menti reperite in casa, Istituto »Jožef Štefan« in testa, circa i rischi di quanto si stava progettando oltre confine per l'ambiente e la sicurezza del territorio nazionale e incassato un quadro disastroso, la Camera di stato incaricò il governo di far valere presso quello italiano le ragioni del NO sloveno nella valutazione di impatto ambientale transfrontaliero. Un'iter, quello del VIA transfrontaliero, per altro previsto in questi casi da una serie di convezioni internazionali e direttive europee. Si aprì un negoziato che però risultò da parte italiana più di cortesia che altro. Per il ministro dell'ambiente dell'epoca, signora Prestigiacomo, Zaule andava avanti comunque. Ma accettando di sentire le ragioni slovene, il governo Berlusconi smussò i toni della vertenza e Lubiana sul caso allentò la morsa, rinunciando fino a questo momento di procedere con una formale denuncia per violazione delle normative internazionali, presso le competenti istanze europee.
Un invito a dialogare e a trovare un accordo venne dal commissario europeo per l'ambiente, lo sloveno dottor Janez Potočnik, ma nulla fermò le procedure di ubicazione e realizzaziome che il rigassificatore di Zaule aveva imboccato.
E si arriva ai giorni nostri in cui il via definitivo alle ruspe pare oramai imminente. Dipende solo dal Consiglio regionale. Ma grazie a Dio - si, contesto anch'io i due progetti - il cambio della guardia al comune di Trieste, ovvero l'elezione del sindaco Cosolini e della nuova maggioranza consigliare, ridà fiato al fronte dei NO. Col predecessore Dipiazza c'era più accondiscendenza e i colleghi di Muggia e San Dorligo della Valle, Nesladek e Premolin, erano stati lasciati soli sulla sponda opposta. Ignorarli oggi, quando anche il capoluogo regionale abbassa il pollice, non è più così semplice, ne per Roma, ne per la Regione. Lo fa chiaramente capire il sucessore della Prestigiacomo, Corrado Clini.
Una nuova presa di coscienza a Trieste, una svolta di giudizio, riconducibili soprattutto all'agire del Tavolo tecnico che da qualche anno, raccolti i nomi più qualificati in regione per ogni singolo settore coinvolto, studia il caso. Recentemente, in un'assemblea a Muggia, ha presentato le proprie conclusioni e non ce n'è una che dia ragione alla Gas Natural e alla Endesa. Anzi. Quanto avverte e documenta è allarmante, per altro senza controargomentazioni convincenti.
Accentrando l'attenzione sull'impianto di Zaule ne dimostra l'assoluta pericolosità, assurdità e inaccettabilità.
Quattro le motivazioni di fondo:
Primo punto chiave, la sicurezza pubblica che il rigassificatore metterebbe a repentaglio tramite i potenziali incidenti industriali a catena – il cosiddetto effetto domino – nel momento in cui si verificassero un incendio o un'esplosione innescati, accidentalmente o intenzionalmente (attentato) non importa, in una delle fasi della conversione del gas. Un'ipotesi inescludibile per quanto la Gas Natural si sforzi di dimostrare il contrario. E il raggio di impatto calcolato abbraccia tanto la zona residenziale circostante quanto tutta una serie di strutture industriali e portuali e non rientra in nessuno degli standard di sicurezza considerati e applicati altrove.
E alla pesca e al turismo, che non possono prescindere dallo stato di salute delle acque del golfo, si lega la terza motivazione di stop all'impianto. L'ampio utilizzo di cloro, sostanza altamente tossica, per sterilizzare le tubature di aspirazione dell'acqua usata nel processo di rigassificazione e la riimmissione nel bacino della stessa, espletato il compito di scongelamento del GNL, a temperatura molto piu bassa, ucciderebbero col tempo, e neanche troppo in là, ogni biotopo presente in questo habitat. Parliamo di un bacino specifico che con la profondità che si ritrova e non supera i 22 metri, ha poco ricambio d'acqua. Se a tanto si aggiunge la movimentazione del fondale, generata così dall'aspirazione dell'acqua come pure dall'arrivo delle metaniere, il cui pescaggio rasenta il fondo, e il conseguente sollevamento del mercurio depositato, di cui il fondale del golfo è intriso, il quadro è completo.
Non ultimo il discorso delle alternative a Zaule e al rigassificatore off shore cui il Tavolo tecnico e i politici del buon senso non si sottraggono. Anzi. Se anche si accetti la tesi che gli attuali canali di approvvigionamento per il futuro della regione e dell' intero Alto Adriatico non bastano e che neppure il south stream della russa Gasprom - il gasdotto che fra qualche anno porterà il metano dalla Russia e dall'Asia centrale all'Europa scavalcando la dispettosa Ucraina, non soddisfacerà il fabbisogno metanifero dell'area, si indicano nella nuova generazione di gasiere con rigassificatore a bordo e nei sistemi di prelievo del gas in mare aperto - impianti mobili di dimensioni irrilevanti - le risposte più appropriate. Tecnologie note e in uso da anni in molti paesi consapevoli dei rischi dei rigassificatori classici e peraltro molto meno costose. Il professor Giorgio Trincas, docente di ingegneria navale all'Università di Trieste - e non si sentono smentite - calcola per la costruzione del rigassificatore di Zaule con strutture annesse e connesse, una spesa di poco inferiore al miliardo di euro, mentre l'acquisto di due metaniere dell'ultima generazione e della boa di prelievo con conduttura sino alla costa non verrebbe a costare più di 600 milioni. Tutto ovviamente a pari quantità e tempi di rigassificazione e immissione nella rete di distribuzione.
Suo appello finale, condiviso anche dal sottoscritto, il coinvolgimento in questo progetto, qualora non se ne potesse proprio fare a meno, anche della Slovenia e della Croazia, i cui interessi e le preoccupazioni per le sorti dell'alto Adriatico e del Golfo di Trieste l'Italia non ha il diritto si ignorare.
Aurelio Juri: 61 anni, nativo di Pola in Croazia, residente fin da piccolo a Capodistria in Slovenia. Appartenente alla comunità nazionale italiana, sposato con due figli.
Di professione giornalista - 19 anni nei programmi informativi in lingua italiana a Radio e TV Koper-Capodistria. Entrato nel 1973 nella Lega dei comunisti, seguendo un po' le orme del padre Vittorio, comunista e partigiano, contribuì attivamente nel 1990 al processo di democratizzazione e indipendenza del paese e alla trasformazione del partito in socialdemocratico. 8 anni sindaco di Capodistria, negli anni della transizione al sistema pluripartitico e della guerra di indipendenza, e successivamente parlamentare nazionale (12 anni, ovvero 3 legislature) ed europeo (supplenza di 1 anno in sostituzione del presidente del governo Borut Pahor). Impegnato soprattutto sui temi della politica internazionale, dei diritti umani e delle minoranze nazionali, della convivenza, del buon vicinato, della multiculturalità nonché su quelli ambientali, pacifisti e della democrazia locale.
Per 5 anni membro del Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa e per 8 anni membro della Presidenza del Forum parlamentare europeo Habitat.
Ritiratosi dalla politica attiva nel 2009,a conclusione del mandato a Bruxelles, per divergenze col partito sul contenzioso frontaliero fra Slovenia e Croazia, ovvero per aver osteggiato apertamente il blocco posto dalla Slovenia ai negoziati della Croazia di adesione all'UE.
Da allora in pensione. Continuano la tradizione parlamentare il figlio Luka e il fratello Franco.