Numero 27

APPUNTI SU TALUNI ASPETTI DELLA POLITICA ECONOMICA ITALIANA
(Seconda Parte)



Vincenzo Porcasi


DA GIOLITTI AL FASCISMO

I nazionalisti sostenuti dal centro industriale e che guardano più all´Adriatico che al Mediterraneo, temono di vedersi chiudere le vie di penetrazione nei Balcani verso cui le esportazioni sono notevolmente aumentate, a differenza di quelle dirette verso i governi

occidentali. Le classi industriali non intendono lasciarsi estromettere da mercati così redditizi, tanto più che l´intenso sviluppo delle attività industriali è legato alla forte espansione del commercio con l´estero.

Espansione che peraltro è aiutata e sostenuta da Giolitti, il quale, verso il 1903-1904, abbandona la difesa della piccola proprietà, che aveva ereditato dalle correnti radicali dell´800, perchè comprende la grande importanza dell´industria per un paese moderno. E´in questo clima spirituale e culturale, in cui comincia a prevalere l´atmosfera spiritualistica e volontaristica, che nel 1909, i futuristi, nel loro primo manifesto, proclamano i valori fondamentali della vita: "l´amore del pericolo, l´abitudine all´energia e alla temerarietà.... il movimento aggressivo, l´insonnia frebbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno".

I nazionalisti antidemocratici e antisocialisti propugnano lo stato forte, ferreo, sostengono che il fine della politica è vittoria e rigettano i "falsi idealismi internazionali". Giolitti, preparando e dirigendo l´impresa coloniale, mira a mantenere il corso liberal- democratico della politica interna, ma forse non avverte a sufficienza una trasformazione interna dei partiti e degli spiriti che porta ad uno sviluppo eccessivo delle tendenze antiliberali. In una parte del socialismo c´è un ritorno alla tendenza rivoluzionaria, combattiva e, se ne fa capo Benito Mussolini (1883-1945), dal dicembre 1912 Direttore dell´ "Avanti".
Il congresso del partito a Reggio Emilia del 1912 vede la scissione dei riformisti, che sotto Bissolati fondano il partito socialista riformista, mentre dall´altra parte nasce il movimento nazionalistico, con tendenze imperialistiche e autoritarie che fa alleanza con taluni elementi cattolici. Le prime elezioni, col nuovo suffragio del 1913, portano alla camera una estrema sinistra di molto aumentata e ridivenuta aggressiva. Giolitti si dimette e il nuovo gabinetto viene costituito da Antonio Salandra, senza la partecipazione dei radicali. La spedizione libica compromette inevitabilmente i rapporti dell´Italia con l´Intesa e la orienta definitivamente verso la Germania, facendole perdere quel ruolo di arbitro sulle sorti di un eventuale conflitto europeo.

Mentre il governo crede che la guerra sarà breve e su questo convincimento basa la sua politica, Giolitti è convinto che sarà lunga in quanto ritiene che Austria e Germania non potranno essere vinte facilmente.
Una corrente ancora non organizzata in partito, vuole che l´Italia si mantenga neutrale, è la corrente dei cattolici in cui continuano a farsi sentire le antiche divisioni fra cattolici intransigenti da un lato e cattolici sociali dall´altro, entrambi neutralisti, con in mezzo i cattolici moderati. Il neutralismo rigido dei primi, condiviso in buona parte dal Vaticano, si basa sul presupposto della ininterrotta simpatia della chiesa per l´Austria, ritenuta il baluardo più efficiente contro il pericolo dell´imperialismo slavo del il comunismo praticante. In questo contesto anche Benedetto Croce difende la neutralità: "Niente spinge l´Italia contro la Germania, come niente la spinge nelle braccia degli altri popoli in lotta: l´immaginazione, è vero, forgia fantasmi di pericoli nel caso della vittoria germanica, ma ne forgia altresì nel caso della vittoria degli altri, e, per tutti gli altri casi possibili.
Se nonché, l´immaginazione è la madre della paura e, i pericoli sono a ogni passo nella vita; e non perchè vi siano pericoli bisogna perdere la testa e precipitarsi nel baratro". La posizione di Benedetto Croce si rifà alla concezione dello Stato portatore di una giustizia astratta, tipica della tradizione politica italiana che discende dall´illuminismo settecentesco.

Questa tesi che conduce in favore di una visione della vita politica e della storia piùmoderna e più realistica, si ricollega alla sua più vecchia polemica che egli svolge contro il positivismo. L´opposizione alla guerra è inutile: l´azione degli interventisti è più energica e riesce ad avere ragione della resistenza degli avversari. La violenza dei nazionalisti piega un paese alieno dalla guerra. L´Italia fra le grandi potenze vincitrici si trova in condizioni politiche e morali peggiori di tutte. La guerra ha prodotto immani sconvolgimenti economici, politici, morali; difficoltà gravissime di passaggio dall´economia di guerra all´economia di pace, agitazioni sociali del proletariato e, in antitesi, quelle della piccola borghesia. In seguito alle elezioni del 1919, a suffragio universale e a rappresentanza proporzionale entrano alla Camera due grandi partiti, il socialista e il popolare (cattolico), mentre il resto è diviso in una quantità di gruppi e tendenze.
Il partito socialista, incapace di fare la rivoluzione, si chiude nell´intransigenza e nega la collaborazione al governo Nitti (1919-1920); il partito popolare collabora, pur con criteri confessionali e dissensi interni. Si assiste ad una epidemia di scioperi ed agitazioni che giungono ad una occupazione temporanea delle fabbriche (settembre 1920) da parte degli operai. Ma grazie anche alla diminuita influenza bolscevizzante sulla massa operaia europea dopo la sconfitta russa del 1920 nella guerra con la Polonia, e dopo che si incominciano a conoscere le tristi condizioni economiche della nuova Russia, l´occupazione nelle fabbriche nel nostro paese viene liquidata pacificamente. Giolitti nel suo quinto e ultimo ministero, 1920, si accorda con la Confederazione del Lavoro per la introduzione di un controllo da parte operaia sulle aziende, forzatamente accettato dalla confederazione padronale, che, tuttavia non diviene mai legge.
Si realizza la pacificazione tra neutralisti e interventisti e si registra un forte miglioramento nell´ordine del paese e nel bilancio dello Stato. Con il congresso di Livorno del gennaio 1921 il Partito socialista italiano,fermo nella sua intransigenza, subisce il distacco della minoranza comunista che si organizza nel Partito Comunista Italiano, affiliato alla terza internazionale. Giolitti che si trova di fronte all´opposizione di destra (nazionalisti e salandrini), a quella di sinistra democratica e social comunista e all´ostilità di Don Sturzo, segretario generale dei popolari, ricorre allo scioglimento della camera e mira nelle elezioni, alla parlamentarizzazione del fascismo, di cui non intuisce la natura antidemocratica e violenta. I suoi successori, Bonomi e Facta, non riescono a dominare la situazione parlamentare e i conflitti nel paese e in questo clima si sviluppa il movimento fascista con a capo Benito Mussolini, agitatore di folle e organizzatore di "masse".
Nell´autunno del ´20 il fascismo inizia la sua rapida avanzata nella valle padana nella forma precipua del fascismo agrario: avanzata consistente in una catena di violenze e distruzioni. Inizia poi una graduale opera di trasformazione in senso fascistico dello Stato; accanto alla creata milizia fascista (Milizia Volontaria per La Sicurezza Nazionale), viene di fatto mantenuto un organizzato "squadrismo" non impedito dalle autorità governative. Il 28 ottobre 1922 Mussolini dispone la mobilitazione dei fascisti e la marcia su Roma, che, come noto, fu parata illusoria. Il re Vittorio Emanuele III, paventando uno sviluppo del movimento in senso antimonarchico, dopo il rifiuto del Ministero Salandra - Mussolini chiama Mussolini al potere[1].

Il 3 gennaio 1925, Mussolini, in un discorso alla Camera sfida l´opposizione aventinista e annuncia il passaggio definitivo dal regime liberal costituzionale a quello fascista e così realizza, senza impedimento da parte della corona, la sostituzione dello stato fascista a quello liberale - statutario. Con l´impiego della forza governativa e di partito le opposizioni vengono disfatte, soppressi gli altri partiti, istituito il confino, fascistizzata la stampa, sciolte le confederazioni socialiste e cattoliche, istituiti i sindacati fascisti. Nel 1939 la Camera dei Deputati viene sostituita con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, di diretta nomina governativa.
Più rapida è invece la trasformazione dell´amministrazione locale, con l´abolizione del Consigli Municipali e Provinciali, cui subentrano podestà e organi consultivi nominati dal Governo. Lo Stato Fascista prende anche il nome di "Corporativo". Con la Carta del lavoro (2 aprile 1927) il lavoro, dovere sociale, è dichiarato a fondamento dell´attività civica. Lavoratori e datori di lavoro vengono organizzati nei sindacati fascisti e questi riuniti in confederazioni, quali organi statali diretti dal Governo.

L´organizzazione sindacale provvede ai contratti collettivi di lavoro, generali e obbligatori; vengono proibiti scioperi e serrate e le controversie sono risolte da una magistratura del lavoro. Le corporazioni vengono istituite nel dicembre 1933 allo scopo di regolare la produzione in vista dell´interesse generale della nazione, e in queste si ritrovano associati i rappresentanti dei maggiori settori produttivi.
L´indirizzo è quello di una "economia regolata", ma che manifesta più precisamente una tendenza all´autarchia, diretta a produrre all´interno la copertura del fabbisogno di generi essenziali per la vita economica. La politica sociale ha sviluppi importanti, come le pensioni operaie, la settimana di 40 ore, il dopolavoro, l´opera nazionale per la maternità e l´infanzia. A una politica grandiosa per quanto riguarda i lavori pubblici si affianca, con la "legge della bonifica integrale" il programma di risanamento delle terre incolte e paludose, che si afferma particolarmente nelle paludi pontine.

La testimonianza, da parte del regime fascista, della cura dei rapporti con la religione cattolica si ha con i patti del Laterano (11 febbraio 1929), che si conclude con Papa XI (Ratti, eletto nel 1922 come successore di Benedetto XV, Della Chiesa, eletto nel 1914), che verso Mussolini aveva mostrato favore e apprezzamento. In base a questi la Santa Sede ha piena sovranità nella "Città del Vaticano" e con un Concordato si regolano i rapporti tra Stato e Chiesa in Italia: viene introdotto l´insegnamento religioso nelle scuole medie ed elementari, e vengono attribuiti al matrimonio religioso effetti civili; vengono adottate inoltre altre misure favorevoli alla chiesa e al clero.
La fine della seconda guerra mondiale travolge il fascismo e fa nascere la Repubblica Parlamentare. Il 9 ottobre 1958, Pio XII, succeduto a Papa Ratti, spira all´età di 82 anni e dopo un ventennio di così personale e intenso pontificato non sembra possibile offrire alla Comunità, al mondo un nuovo pontefice. Pacelli è il volto della Chiesa, come con intima determinazione hanno pensato i fedeli.
Ma una nuova era si avvia con il suo successore, Giovanni XXIII. Con Pio XII tramonta un´epoca nella quale hanno dominato Mussolini, Hitler, Stalin la cui fine indica la via del rinnovamento, verso il quale si apre il mondo, fra l´altro pieno di nuove soggettività internazionali per effetto della crisi delle relazioni coloniali. Pacelli, ultimo papa romano, rappresenta l´idea di una concezione pontificia che si esaurisce nell´atto della convocazione del nuovo Concilio, assemblea che apre nuove prospettive economiche e rompe con le crociate a sfondo politico come quella anticomunista e che pone fine all´accusa antisemita di deicidio, rivolta per duemila anni ai "perfidi giudei".

Sempre forte è l´ascendente di Pio XII fra i cattolici, nonostante la sua figura sia combattuta aspramente in vita e in morte. Pacelli è bersaglio di critiche per il silenzio e le omissioni davanti al genocidio del popolo ebraico, verso il quale ha avuto tuttavia gesti di grande carità e per un eccesso di anticomunismo che suggellò con decreto di scomunica. In sua difesa si levò la voce di un grande laico Luigi Salvatorelli[2].

Premesso che il problema del silenzio papale rimaneva quale era, Salvatorelli si poneva la domanda di quali saranno stati i motivi che si agitarono nell´animo del papa pro e contro una denuncia? "Per una ricostruzione simile occorrerebbe l´accertamento preliminare del quando e del quanto egli ha conosciuto quegli orrori. Occorrerebbe altresì confrontare il suo silenzio con quello, contemporaneo e precedente, di tutti gli altri che avevano titolo per parlare: particolarmente religiosi tedeschi di ogni confessione e capi dei governi alleati occidentali.
Qualora una ricostruzione simile si faccia, da essa non potrà uscire né un´apologia né una condanna. Ci si ritroverà dinnanzi a una di quelle decisioni supreme, di cui il giudizio finale (libera rimanendo ogni onesta opinione individuale) non spetta all´uomo ma a Dio. Don Giuseppe Gemmellaro, sul punto ci consegna il suo illuminante documento: "la prospettiva personalistica e sociale di Pio XII".
Pio XII è chiamato alla cattedra di Pietro in uno dei periodi più burrascosi e straordinariamente confusi e disumananti della storia. Egli, specialmente durante il periodo bellico (1939-1945) e subito dopo, agli umani impazziti in uno sterminio atroce e superbamente arroccati sugli spalti massicci o del neo capitalismo o del collettivismo di Stato, con abbondante, lucida, positiva illuminazione viene con gradualità quasi segnando le grandi linee architettoniche del mondo nuovo che dovrà costruirsi. Ecco allora i radio messaggi natalizi circa il nuovo ordinamento: nazionale e supernazionale (Natale 1939/1941), il diritto universale di tutti gli umani a compartecipare all´uso dei beni (Sertum laetitiae e messaggio pentecostale 1941); la Magna Charta del personalismo comunitario di ispirazione cristiana sinteticamente ma con vigore e rigore offerta nel radio messaggio natalizio del 1942; il metodo democratico finalmente accettato come condizione di una efficace organizzazione della pace e delle società ai vari livelli (Natale 1944); e quasi tutti i più rilevanti problemi socio - economici - politici - culturali degli affannosi e conturbati anni della ricostruzione, sempre riconsiderati, illuminati, ricondotti a valori e dimensioni umane, sociali, cristianamente ispirati. I problemi della famiglia, della educazione, della scuola, del lavoro e dei lavoratori, dell´impresa nelle sua varie forme e dimensioni, la richiesta di una corresponsabile compartecipazione del popolo e dei popoli ai loro destini ed al loro sviluppo emergono di continuo in un magistero, in una fase tenebrosa della storia mondiale andava delineando itinerari impegnativi verso un personalismo comunitario pluaralista e democratico, universale e reale, inconfondibile con le figure socio - culturali che i grandi colossi collettivistici, neo capitalistici ed imperialistici andavano concretando, contrapponendo, spezzando il mondo che stava per nascere.
L´accentuazione piena sulla persona come "fondamento soggetto e fine di tutta la vita sociale", ripresa poi dai suoi successori, è carica di implicazioni talmente vasta e profonde da proporre e imporre innovazioni in ogni settore tecnologico, economico, sociale, culturale, politico.

 

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[1] Don Luigi Sturzo è un uomo che attraversa la prima parte del secolo ventesimo, fedele alla ragione storica, scientifica, sociale, politica, metafisica, religiosa ecclesiale è altresì fedele alla complessità e alla distinzione degli esseri, dei valori delle istituzioni: senza decurtazioni religiosistiche, senza idolatrie immanentistiche, senza pragmatismi di pura efficienza; è fedele a Dio, al Cristo e allo Spirito, alla Chiesa - comunione, popolo di Dio, istituzione gerarchica, amata sempre anche se con eroici sacrifici, con convinzione e dedizione, mai come obbedienza servile; fedele ad una laicità aperta ed impegnata ai valori totali ed universali, con le debite distinzioni tra sacro e profano, fra ecclesiale e statuale, fra fede e ragione, fra diritto e beneficenza, fra cristianesimo e cristianità storiche; egli è promotore di un partito popolare, democratico aconfensionale, indipendente dalla gerarchia, anche se di ispirazione cristiana; promotore non solo
attraverso la Costituzione di uno stato di "diritto" giusto, prospero, pacifico, solidale, pluralista, democratico, anche se non confessionale e non esaustivamente interventista; promotore della libertà contro ogni dittatura da qualsiasi parte potesse procedere; promotore insistente di uno stato repubblicano contro una monarchia carica di grandi tradimenti nei confronti del popolo; promotore della liberazione del mondo contadino, del mondo operaio, dei ceti medi da ogni egemonia di classe, di partito, di gruppo e di ideologia; fedele alla "vita vera" totale, anche soprannaturale, ("la vera vita"); ricco di speranza perchè pieno di razionalità, in un mondo sociopolitico irrazionale; di fede in un mondo culturale vastamente ateo e irreligioso; ideazione concreta e di amore generoso ed operoso, in un mondo intriso di egoismo individuale, classista, nazionalista; "intransigente flessibile e dinamico" contro "il mondo materialista" e "la storicizzazione del divino"; sacerdote vigoroso e rigoroso, carico di certezze e di impegni, povero ed eroicamente fedele alla comunità ecclesiale, cui, pur coi suoi limiti, lascia con semplicità e grandezza insieme, prospettive e metodi di azione esemplari e cogenti.

[2] Antonio Spinosa: Pio XII l´ultimo papa, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1992, pagg. 378- 379