Filosofi e calcolatori, gli attori di un nuovo
umanesimo tecnologico
INDICE
PREFAZIONE
CAPITOLO I – DECLINO DELLA SOCIETÀ DELL’INFORMAZIONE
Capitolo II – Economia della Conoscenza mai nata
CAPITOLO III – DALLA SOCIETÀ DELL’IPER-INFORMAZIONE A QUELLA DELLA CONOSCENZA
Capitolo III
Dalla Società dell’Iper-informazione a quella della Conoscenza
Abilitare l’Economia della Conoscenza
Generare valore
La crisi economica globale ha manifestato quanto sia stata scellerata la visione di chi ha pensato che si potesse generare ricchezza e benessere mediante la finanza. Non è difficile intuire come essa sposti denaro da una tasca all’altra, in modo più o meno lecito, a discapito di chi è più debole e sprovveduto .
La vera ricchezza ha poco a vedere con il denaro e si genera prevalentemente con il lavoro, fisico o intellettuale degli uomini, e delle macchine. Solo aumentando il numero di persone e macchine che lavorano è possibile generare maggiore ricchezza.
Tutti i balzi in avanti nella storia dell’economia sono stati provocati dall’ingresso nel mondo del lavoro di nuovi lavoratori e nuove categorie di lavoratori. Basti pensare al nostro paese dove l’ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro ha determinato il vero boom economico del secondo dopoguerra. Ma anche l’automazione gioca un ruolo moltiplicatore della ricchezza.
Nel modello industriale attuale è proprio l’automazione dei processi produttivi ad aver sospinto la crescita dei profitti delle imprese e della ricchezza. E sono state proprio le qualità delle macchine a determinare spesso il successo o il fallimento di un’impresa.
Insomma, se si desidera immaginare una nuova forma di economia, non ci si può certo sottrarre a considerare sempre e comunque il lavoro come elemento centrale per la produzione della ricchezza. Ma di quale lavoro si deve parlare quando si immaginano nuove forme di economia come quella basata sulle conoscenze?
Lavoro umano
Pensare ad una nuova forma di economia, significa immaginare l’ingresso sul mercato del lavoro di nuove categorie di lavoratori.
E’ abbastanza evidente che nel modello attuale non è possibile immettere nuovi lavoratori. Infatti in questa fase recessiva dell’economia mondiale osserviamo la perdita di posti di lavoro che non vengono rimpiazzati. Con molta probabilità questi posti perduti non saranno mai colmati da lavoratori con le abilità dei loro padri. Ed è facile immaginare che, proprio come gli ideatori della strategia di Lisbona auspicavano, solo l’avvento di una nuova forma di economia potrà innescare un processo virtuoso in cui nuovi lavoratori potranno essere immessi nel mercato.
Ma quali lavoratori, o meglio, quali categorie di lavoratori saranno necessarie per sostenere un nuovo sviluppo economico?
Poiché una nuova forma di economia richiederebbe nuove categorie di lavoratori che prima erano inutili, i nuovi lavoratori dovrebbero possedere abilità e professionalità al momento attuale non ancora esistenti. Insomma, ancora da immaginare.
Lavoro automatico
La fase economica che stiamo vivendo ha visto la crescita esponenziale del lavoro intellettuale, ma principalmente l’estrema specializzazione del lavoro manuale. Tutto ciò è la conseguenza dell’elevatissimo grado di automazione industriale. Infatti, per far funzionare i macchinari servono competenze molto specifiche e per governare la complessità sempre crescente, è necessaria l’ iper-specializzazione delle abilità.
Tutto questo è dovuto essenzialmente alla necessità delle macchine di essere costruite, installate e mantenute in grado di svolgere il proprio lavoro automatico.
Ragionando così come per le persone, in una nuova forma di economia quale potrebbe essere il nuovo ruolo delle macchine? Ovvero, quale potrebbe essere quella macchina in grado di giocare un ruolo propulsivo della ricchezza?
Le uniche macchine potenzialmente adatte allo scopo sono proprio i calcolatori. Non a caso gli ideatori della strategia di Lisbona vi confidavano molto. Tuttavia, come precedentemente sottolineato, si è trattato di un vero abbaglio perché nella strategia di Lisbona il calcolatore è visto ancora come un’altra qualsiasi macchina, capace solo di aiutare l’uomo nel suo processo produttivo.
Infatti, se si guarda con attenzione, i calcolatori sono impiegati attualmente per produrre risultati comprensibili solo agli esseri umani. Nel caso dei calcolatori che aiutano altre macchine ad operare, addirittura si limitano ad attuare in modo più o meno complesso operazioni prestabilite dall’uomo. In generale i calcolatori sono utilizzati come un’altra qualsiasi macchina utensile, alla stregua di una fresa o di un robot addetto alla verniciatura.
Scendendo nel dettaglio, ci accorgiamo che ogni applicazione software, anche la più evoluta, produce risultati non troppo precisi. Al lavoratore umano altamente specializzato è assegnato il compito di comprenderne il significato e trattare l’informazione prodotta in modo adeguato. Molto spesso accade che questo iper-specialista sia costretto ad aiutare il calcolatore a produrre risultati meno imprecisi utilizzando le proprie competenze in campo informatico o applicativo. In pratica è l’uomo ad offrire il suo aiuto al calcolatore per funzionare meglio.
Ma questo è un controsenso: quale industria investirebbe su una linea di produzione automatizzata se gli operai dovessero aiutare i robot a funzionare?
Da questo ragionamento deduciamo che l’idea della centralità del lavoro prodotto dal calcolatore, così come siamo abituati ad intenderlo, non potrà mai essere all’origine di una nuova forma di economia, tantomeno quella basata su conoscenze, poiché senza l’apporto umano il calcolatore sarebbe praticamente inutile, ancor meno di una qualsiasi macchina utensile automatizzata.
Ma quale impatto ha l’impiego attuale dei calcolatori e delle tecnologie dell’informazione sui processi di trasformazione del lavoro in ricchezza?
Trasformare il valore in ricchezza
Come sappiamo le imprese ed i professionisti sono i soggetti capaci di trasformare il lavoro in beni e servizi, i quali possiedono un valore d’uso oggettivo per gli individui e le altre imprese. Portando questo valore d’uso sul mercato, imprese e professionisti producono profitti e quindi ricchezza. Sono questi soggetti economici i veri creatori del valore, fatto prevalentemente di idee e competenze, capaci di generare ricchezza per se stessi, per i lavoratori e per l’intera comunità.
Le imprese storicamente si sono servite dei calcolatori per automatizzare processi ripetitivi e onerosi come l’elaborazione delle paghe, la tenuta della contabilità generale e di magazzino, la fatturazione, la produzione di bilanci e previsioni, ecc. Nell’ambito dei processi produttivi, il calcolatore è stato impiegato per l’approvvigionamento dei materiali attraverso la gestione automatizzata della distinta base, per comandare macchine elettromeccaniche che effettuano attività automatizzate, ecc. E questo per soddisfare esigenze “interne” all’organizzazione, ovvero per migliorarne l’efficienza generale delle aziende.
Grazie all’avvento delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nuovi e interessanti fronti applicativi si sono aperti e le imprese hanno potuto usufruire per la prima volta di strumenti efficaci per l’interazione con la propria clientela: strumenti in grado di soddisfare finalmente anche esigenze “esterne” all’organizzazione.
Infatti, i motori di ricerca possono offrire servizi di SEM per dare visibilità al brand; i servizi di e-mail marketing possono aumentare la capacità di entrare in contatto con la clientela; i Siti ed i Portali Web possono offrire servizi di commercio elettronico per moltiplicare la capacità di vendita di beni e servizi; ecc.
B2C e B2B
Tuttavia, come già evidenziato, questi fantastici sistemi sono impiegati prevalentemente per automatizzare quei processi d’interazione volti a soddisfare i bisogni di quelle imprese che si rivolgono all’individuo considerato come utente finale di beni e servizi, ovvero per automatizzare processi B2C.
Del resto, l’impiego delle tecnologie dell’informazione, producendo risultati di tipo statistico, ben poco si prestano ad automatizzare quei processi di interazione tra imprese, ovvero ad automatizzare quei processi B2B volti a soddisfare bisogni di tipo professionale.
Infatti, se per esempio un sistema di e-commerce proponesse al “consumer” l’acquisto di un articolo associato basandosi su un algoritmo che risponde alla sentenza “forse stavi cercando anche …”, e l’articolo associato non fosse d’interesse per l’utente, al massimo il venditore potrebbe perdere l’opportunità di vendita.
Prendiamo invece il caso in cui tale sistema di e-commerce venisse impiegato per servire un’utenza professionale che acquista per motivi di lavoro beni e servizi che entrano nel ciclo attivo aziendale.
Se il sistema, rispondendo alla sentenza “forse cercavi questo …”, offrisse un prodotto lontano dal contesto dei bisogni dell’acquirente, chi vende potrebbe essere considerato non all’altezza della situazione da parte dell’acquirente. Oltre alla certa mancata vendita, e alla perdita d’immagine, il venditore potrebbe perdere anche il cliente. E la perdita di un cliente per un’impresa che opera nel B2B è estremamente più grave di quanto possa esserlo per le organizzazione che si rivolgono al consumer.
Favorire i soggetti trascurati
Questo semplice esempio mostra che l’applicazione delle tecnologie dell’informazione, con i loro risultati statistici, possono offrire ottimi servizi per il B2C ma non offrono certamente i risultati auspicabili per l’automazione dei processi di tipo B2B. Essi, infatti, necessitano di un approccio deterministico, l’unico in grado di offrire garanzie di certezza dei risultati prodotti.
In questo caso infatti, l’applicazione di e-commerce offrirebbe risultati coerenti rispetto ai bisogni dell’utente, proponendo per esempio dei prodotti associati legati al prodotto principale da relazioni logiche che esprimono quella semantica ben comprensibile all’acquirente.
Per ottenere questo però, nel costruire il proprio sistema di e-commerce, il venditore deve aver predisposto il proprio catalogo non più rispettando solamente la necessaria sintassi, ma anche rappresentando i prodotti e i servizi in vendita secondo quella semantica adatta ad essere compresa dai propri clienti. E questo è sempre possibile ottenerlo poiché nei processi B2B l’impresa che vende un bene conosce sicuramente quali esigenze vengono soddisfatte dai propri prodotti e come può rappresentare le conoscenze sui propri prodotti in modo logico ed organico rispetto alle esigenze dell’acquirente.
Dalla parte dei professionisti e delle imprese
Puntare sulle tecnologie che abilitano i processi B2B, cioè quelle che producono risultati deterministici, è la strada per offrire alle imprese quegli strumenti per affrontare con maggiore fiducia e speranza le sfide della globalizzazione. Infatti i vantaggi derivanti dall’impiego di nuove soluzioni basate sull’approccio deterministico potrebbero essere numerosi.
La velocizzazione dei processi di interazione tra imprese potrebbe essere uno di questi.
Riprendendo l’esempio del sistema di e-commerce e ipotizzando di impiegare un approccio deterministico, è possibile immaginare che l’acquirente, potendo ottenere risposte coerenti con le proprie esigenze, possa impiegare meno tempo a recuperare ciò che desidera. Il tempo risparmiato potrebbe essere utilizzato per altre attività produttive con conseguenti vantaggi sulle prestazioni aziendali.
L’indipendenza dalla lingua potrebbe rivelarsi un elemento strategico per la competitività.
Un sistema deterministico, poiché basato sulla logica, è naturalmente indipendente dalle lingue. Ciò comporta di conseguenza che il sistema di e-commerce B2B potrebbe essere impiegato da chiunque, a prescindere dalla lingua parlata dell’acquirente. E poiché la logica è una caratteristica del ragionamento umano comune a tutta la razza umana, la facilità di trovare ciò di cui si ha bisogno è la medesima per qualsiasi utilizzatore, a prescindere dalla lingua parlata. Ciò potrebbe rendere il sistema di e-commerce fruibile alle medesime condizioni in qualsiasi parte del mondo, con i conseguenti vantaggi per l’impresa, facilmente immaginabili.
Puntare quindi sulle tecnologie che abilitano il B2B, ovvero scalare dalla statistica al determinismo, vuol dire occuparsi dei problemi delle imprese e dei professionisti. Significa dare nuovi strumenti di lavoro, adeguati ai tempi, a tutti coloro che concorrono alla trasformazione del valore in ricchezza generando occupazione e benessere.
Ma occuparsi delle imprese che operano nel B2B e dei professionisti significa principalmente creare quel circolo virtuoso tra imprese B2B, imprese B2C e consumatori che attualmente non si è potuto ancora sviluppare.
Dalla parte dei calcolatori
Finora il calcolatore è stato considerato un oggetto, uno strumento in grado di sollevare l’uomo da un gran numero di compiti gravosi. Compiti complessi per l’uomo poiché le sue capacità non gli permettono di gestire in tempi rapidi operazioni numerose, anche se semplici.
Il calcolatore è sempre stato visto come un “ordinateur” capace di restituire dati in modo tale per cui l’uomo potesse con più facilità avere accesso all’informazione. Il calcolatore, incapace di essere cosciente di se stesso, non poteva essere considerato un soggetto, capace di interagire con gli umani e prendere decisioni. E per fortuna è ancora così.
Oggi i calcolatori possono però trattare la logica.
Essi possono essere quindi assimilati a degli automi dotati di capacità di ragionamento automatico che, simulando il comportamento del ragionamento umano, si pongono come medium uomo-macchina per offrire servizi di trasposizione tra conoscenze, ovvero tra i saperi dell’autore e le conoscenze del fruitore.
In questo nuovo scenario il calcolatore inizia ad essere non più semplicemente un oggetto, ma va assumendo sempre più un ruolo di protagonista. I calcolatori diventano così soggetti i cui bisogni devono essere messi in conto.
Ma per soddisfare questi bisogni è necessario immettere nei calcolatori la “materia” su cui essi possano effettuare i loro ragionamenti automatici. Questa “materia” non è altro che conoscenza umana espressa in modo formale, in modo tale che i calcolatori possano impiegarla in autonomia, secondo metodi e tecnologie basate sulla logica.
Conoscenze per l’Economia della Conoscenza
Dato, informazione, conoscenza e sapere
Dati, informazioni, conoscenze e sapere sono i termini che vengono impiegati in informatica (Knowledge Management) per rappresentare la gerarchia dell’informazione, in cui ogni strato aggiunge alcuni attributi al precedente. I “dati” sono al livello più elementare, le “informazioni” aggiungono il contesto ai dati, le “conoscenze” aggiungono il modo con cui vengono usate le informazioni e il “sapere” aggiunge quando usare le conoscenze.
Tuttavia questa gerarchia, pur risultando molto ragionevole e comoda, nasconde un problema di fondo.
Il Knowledge Management è una branca dell’Information Technology attiva ormai da oltre 20 anni. Quando nacque, le tecnologie impiegate per realizzare i sistemi KM potevano trattare esclusivamente la sintassi. E con tale approccio i sistemi informatici nascevano (e nascono ancora) con alcuni limiti.
Lo strato dei dati poteva essere trattato agevolmente poiché esistevano già le tecnologie DBMS e i linguaggi di interrogazione erano performanti. Anche i contenuti testuali potevano essere trattati attraverso le tecnologie di Information Retrieval ed i documenti potevano essere rintracciati comodamente attraverso “parole chiave”.
Il trattamento dello strato delle informazioni presentava qualche problema in più poiché le tecnologie sintattiche demandavano all’uomo la creazione del contesto necessario per realizzare sistemi capaci di aggregare i dati in modo da offrire un risultato coerente. In altre parole, ogni applicazione doveva essere preorganizzata dall’uomo al fine di dare l’impressione agli utenti di un comportamento “intelligente” del calcolatore.
Poiché a quel tempo si impiegavano solamente tecnologie sintattiche, quando nell’ambito del KM si parla di conoscenze e sapere, a questi termini va attribuito il significato tradizionale, ovvero quello che ne davano anche gli uomini nati prima dell’avvento del computer. Infatti quando si parla di trattamento di conoscenze e sapere in ambito KM, si deve intendere che le conoscenze e il sapere sono contenuti nei testi, in formati liberi, strutturati o formattati, ovvero conoscenze umane formalizzate secondo una lingua naturale.
Per il KM trattare automaticamente conoscenze significa quindi cercare di aiutare il calcolatore a comprendere il significato del testo al fine di non far leggere troppe informazioni inutili all’utente “umano” del sistema KM. Cosicché, quando si usa il termine “semantica” utilizzato come aggettivo di applicazioni software, il termine va inteso nell’accezione “umana”, ovvero di “significato dei segni” o meglio ancora dei “termini” in una determinata lingua naturale.
Quindi quando si parla di “applicazioni semantiche” è necessario sapere che il sistema KM tratta il testo per cercare di estrarne un significato utile per l’utente, ma pur tuttavia le tecnologie continuano ad essere sintattiche, producendo così dei risultati statistici.
Per maggiori chiarimenti su questo argomento può essere consultato un precedente articolo apparso su questa rivista (L. Severini, “Calcolatori e conoscenze umane”, CaosManagement.it - Dicembre 2009).
Accumulare conoscenze umane
Le conoscenze accumulate in tutti i Data Base, in tutte le Digital Libraries e in tutti i Web Site sono quindi conoscenze umane prodotte da “autori” che le hanno formalizzate in linguaggi naturali. Conoscenze trasformabili in “sapere” di altri uomini solamente per mezzo della lettura, della comprensione e della memoria, tipiche attività dell’intelletto umano.
Ma questo tipo di conoscenze non sono decidibili, quindi non sono trattabili in maniera autonoma dai calcolatori secondo processi deterministici. Dunque, sono sempre conoscenze “congelate” nel testo per essere trasmesse da uomo a uomo. Magari testi su supporti elettronici in luogo della carta, ma comunque sempre testi.
Grazie ai computer però, i testi possono ora essere condivisi in modo più rapido e le conoscenze contenute al loro interno possono essere disseminate in modo ancor più efficiente del passato. Nella Società dell’Informazione ci troviamo quindi ad utilizzare gli stessi paradigmi in uso sin dai tempi di J. Gutenberg, inventore della stampa a caratteri mobili. Nulla è cambiato: si deve continuare a leggere, comprendere ed assimilare per poter accrescere il proprio sapere. I computer hanno solamente determinato la dematerializzazione dei testi. Niente di più.
Questo grande accumulo di conoscenze perciò, non ha prodotto sostanziali vantaggi, anzi, come affermato precedentemente, ha innescato un fenomeno regressivo causato dall’iper-informazione a cui tutti gli uomini sono ormai soggetti.
Ma allora di che tipo sono le conoscenze che possono essere trattate dai calcolatori?
Esse sono sempre conoscenze umane, descritte però in un linguaggio formale in modo rigorosamente logico, tale per cui il calcolatore può trattarle autonomamente. Conoscenze umane sì, ma che possono essere impiegate direttamente dai calcolatori e non dall’uomo!
Ciò non significa che sia possibile descrivere in questo modo tutto il sapere umano, dalle conoscenze letterarie a quelle scientifiche, ma sicuramente è assolutamente possibile descrivere quelle conoscenze adatte al campo delle applicazioni software per le imprese ed i professionisti: prodotti, servizi, processi, ecc.
Trovare ciò di cui non si sospettava l’esistenza
Formalizzare conoscenze in modo decidibile non significa inserire nei calcolatori un maggior numero di informazioni, e in modo più dettagliato rispetto al passato. Significa organizzare i dati e le loro descrizioni affinché il calcolatore possa effettuare processi inferenziali, indispensabili per creare applicazioni software innovative, capaci di impiegare le conoscenze degli “specialisti” per aiutare concretamente gli utilizzatori dei servizi automatizzati.
Attualmente, ad esempio, se un utente vuole rintracciare un’informazione all’interno di un ERP (Enterprise Resource Planning), deve conoscere una quantità impressionante di informazioni sul funzionamento dell’applicazione. Ma questo implica che l’utente sappia a priori cosa sta cercando poiché, viceversa, non sarebbe in grado di procedere.
Da qui si comprende che gli utenti delle applicazioni software tradizionali, basate sulle tecnologie dell’informazione, devono possedere delle conoscenze specifiche sul funzionamento dei sistemi informatici e devono essere esperti anche del dominio applicativo. In buona sostanza devono essere degli iper-specialisti.
Nel caso più comune però, il problema è ancor più serio.
Poniamo ad esempio l’uso di un comune motore di ricerca per il Web. Una caratteristica delle tecnologie dell’informazione è quella di costringere gli utenti a conoscere a priori l’argomento della ricerca. Infatti, se per esempio non avessimo alcuna conoscenza di un certo argomento, non avremmo nemmeno conoscenza del lessico adoperato per rappresentare quell’argomento in una determinata lingua. Ciò ci impedirebbe anche solo l’inserimento delle keyword per effettuare una semplice ricerca testuale. Ed ecco anche perché noi non possiamo mai impiegare le conoscenze di un “autore” che le formalizza in una lingua naturale che non conosciamo.
Viceversa, le applicazioni software basate su conoscenze decidibili, cioè trattabili autonomamente dal calcolatore, permetto di interrogare le basi di conoscenza senza dover necessariamente conoscere ciò che si va cercando, ovvero senza conoscere il lessico impiegato in quel contesto.
Ciò dipende dal fatto che un sistema basato su conoscenze non costringe l’utente a procedere per “parole chiave”, ma permette di far procede l’utente mediante passi logici, “pilotato” per così dire dal “sapere” dall’autore su quel determinato argomento. Così procedendo, l’utente può quindi scoprire cose di cui non era a conoscenza poiché l’autore offre una “consulenza”, mediata dal calcolatore, su quel determinato argomento.
E questo grazie alla capacità del calcolatore di ragionare e comportarsi in modo logico e quindi comprensibile e prevedibile dagli esseri umani.
Tecnologie per l’Economia della Conoscenza
L’Epistematica
Definizione
Queste tecnologie quindi non servono a gestire informazioni che possono essere trasformate in conoscenza dagli uomini mediante il processo naturale di apprendimento, ma permettono di codificare conoscenze umane in modo che i calcolatori possano usarle autonomamente, affinché l’uomo possa essere aiutato ad impiegare il “sapere” di altri uomini senza doverlo acquisire mediante la lettura di informazioni, la comprensione dei contenuti e l’assimilazione delle conoscenze.
Insomma, tecnologie per trattare conoscenze umane da offrire direttamente ai calcolatori, ovvero conoscenze per i calcolatori e non per gli umani.
Questa classe di nuove tecnologie adatte quindi a trattare conoscenze destinate ai calcolatori e non agli uomini, non può essere ricompresa nell’ Information Technology, ovvero nell’ Informatica, poiché l’Informatica tratta informazioni codificate in linguaggio naturale e quindi destinate agli uomini. Per poter classificare queste tecnologie è perciò necessario utilizzare un nuovo termine che aiuti a tenerle filologicamente distinte dall’Informatica e che possieda un valore simbolico adatto a rappresentare in modo coerente il cambio del terget di riferimento: dall’uomo al calcolatore.
Il termine utilizzabile è EPISTEMATICA.
Esso è un termine composto dai termini EPISTE[me] e [auto]MATICA. Episteme è un termine greco che significa “conoscenza”. Secondo Platone è la conoscenza basata sui fatti, in contrapposizione a quella basata sulle opinioni, cioè la “doxa”. Per analogia al termine Informatica, Epistematica assume quindi il senso di “trattamento automatico delle conoscenze”.
In modo traslato tali tecnologie potrebbero essere ricomprese in una nuova categoria: la ”Knowledge Technology”.
Logica e non linguaggio naturale
Poiché i calcolatori non sono umani, queste tecnologie non possono impiegare il linguaggio naturale come linguaggio intermedio per il trasferimento di conoscenze. Le lingue naturali sono per loro natura legate alle esperienze soggettive dei gruppi sociali che le impiegano. Due persone che parlano la stessa lingua molto spesso fanno fatica ad intendersi, a causa delle differenze culturali. Due persone che non parlano la stessa lingua, difficilmente potranno comprendersi a fondo, anche se si interponesse tra loro un bravo interprete.
Per un calcolatore, che no sa nemmeno di esistere, rimarrebbe molto difficile comprendere le conoscenze umane codificate in linguaggio naturale.
Esiste però un linguaggio comune a tutti gli umani che possiede quelle caratteristiche adatte ad essere comprensibile e trattabile anche dal calcolatore: la logica.
La logica infatti è sufficientemente espressiva per descrivere molti fatti, almeno quelli che riguardano più da vicino quelli che ha senso trattare con il calcolatore. Inoltre la logica può essere molto rigida e quindi trattabile dal calcolatore in modo efficace.
Determinismo e non statistica
Descrivere quindi i fatti attraverso i postulati della logica, fa si che il calcolatore, pur continuando a non comprendere ciò che gli umani intendono, possa trattare le conoscenze sui fatti con rigore e produrre risultati certi. Attraverso le operazioni logiche infatti, il calcolatore può simulare un comportamento veramente intelligente, tipico degli umani, poiché è in grado di effettuare ragionamenti anche molto complessi.
L’impiego della logica produce risultati “certi” poiché appunto logici, e quindi non “probabili”. Da un approccio induttivo, tipico delle applicazioni basate sulle tecnologie dell’informazione, grazie alla logica si può quindi scalare all’approccio deduttivo, passare cioè dalla statistica al determinismo, quindi dal mondo delle opinioni a quello dei fatti.
Un nuovo paradigma in cui il calcolatore non restituisce opinioni del tipo “forse stavi cercando…”, ma restituisce fatti pertinenti, anche quelli sconosciuti all’utilizzatore.
Applicazioni dell’Epistematica
Agenti software dotati di capacità di ragionamento
Significa quindi che potrà essere progettato e costruito software capace di agire in modo autonomo, ovvero senza che il progettista abbia dovuto specificare con esattezza in quale cella recuperare un certo dato o quale URL utilizzare per recuperare un certo file. Non si dovranno più cristallizzare nella procedura gli indirizzi dell’informazione desiderata, ma sarà la stessa applicazione software, utilizzando la conoscenza sui fatti che possiede, a recuperare quei fatti che soddisfano l’argomento della ricerca, anche se nell’argomento di ricerca non è specificato ciò che si intende ricercare. La conoscenza mancante nell’argomento della ricerca, la inserirà direttamente il calcolatore.
Una prospettiva completamente diversa che sovverte il paradigma della Società dell’Informazioni in cui, parafrasando J.W. von Goethe, “l’uomo vede solo quello che conosce e capisce”, ovvero si cerca e si trova solo quello che si conosce.
Basi di conoscenza decidibili
Ma per riuscire nell’intento di offrire alle applicazioni software queste nuove potenzialità è necessario codificare le conoscenze umane in una forma adatta ad essere trattata ed utilizzata in modo automatico dai calcolatori.
Descrivere le conoscenze sui fatti mediante la logica significa apportare una capacità espressiva infinitamente superiore a ciò che attualmente è possibile fare con un semplice RDBMS. Tale capacità si traduce immediatamente nel fornire una semantica dei fatti molto più ricca e principalmente decidibile, ovvero computabile.
Il termine “semantica” non va qui inteso nell’accezione di “significato dei segni” impiegato quando ci si riferisce al lessico. E non va inteso come si intende comunemente in Informatica nell’accezione di “significato del testo”, cioè cercare di comprendere conoscenze umane destinate ad altri uomini descritte secondo i costrutti di un linguaggio naturale. Ma va inteso come “significato dei fatti”, ovvero quel complesso di conoscenze umane sui fatti, descritte in modo formale attraverso la logica e non la grammatica.
In questo modo i Data Base, depositi di fatti il cui significato è stato ampliato e rigorosamente descritto per mezzo della logica, iniziano ad assumere un valore nuovo. Iniziano ad essere utilizzabili direttamente dal calcolatore, ormai capace di effettuare ragionamenti autonomi sul significato dei fatti. I Data Base diventano quindi Knowledge Base, cioè depositi di fatti arricchiti da descrizioni logiche e non lessicali.
Conoscenze delle imprese e delle organizzazioni
Dai Data Base alle Knowledge Base
Nella maggioranza dei casi, i Data Base sono impiegati per automatizzare processi informativi di tipo professionale. Il loro uso è tipico del mondo delle imprese, e più in generale di tutte le organizzazioni, poiché è in questo ambito che si manifestano le esigenze di mantenere in perfetto stato di funzionamento i processi che generano valore e reddito.
In linea di principio ogni Data Base è trasformabile in una Knowledge Base.
E’ giustificato però domandarsi quale possa essere il valore aggiunto prodotto da un sistema basato su una KB invece che su un DB.
La grande differenza sta nel fatto che in un DB i fatti sono inseriti in una cella di cui si è fornita una “semantica” molto esigua, ristretta nella maggior parte dei casi al nome dell’”etichetta”. In questo scenario il calcolatore non può effettuare nessun ragionamento poiché non ha nessuna possibilità di comprendere il significato dell’etichetta, cosa che risulta invece semplice ad un umano.
Infatti se un umano, esperto di un determinato processo informativo, leggesse una tabella di un Data Base, potrebbe comunque dedurne qualche considerazione ed acquisire qualche conoscenza in più.
Se invece i fatti fossero inseriti in una KB, l’umano potrebbe trovare qualche difficoltà a districarsi tra la nuvola di legami che esprimono la semantica dei fatti, il calcolatore invece no. Infatti esso può, grazie alle doti di velocità di calcolo, muoversi agevolmente tra i percorsi e dedurre velocemente significati scorrendo nella rappresentazione delle conoscenze umane sui fatti, formalizzate attraverso i costrutti della logica.
Tradizionalmente le tecnologie dell’informazione hanno dato la possibilità di aggiungere fatti all’interno di Data Base. Nulla era possibile fare per migliorare la loro semantica. Anzi, una volta progettato il DB, modificare la semantica diventava una fonte di problemi, specialmente in presenza di applicazioni complesse.
Adesso, l’impiego della logica per descrivere la semantica dei fatti permette al calcolatore di adattarsi automaticamente alla nuova rappresentazione poiché esso è ormai in grado di ragionarci sopra. Quindi il faticosissimo processo di revisione dei programmi a seguito della modifica del DB non è più necessario: ci pensa da solo il calcolatore.
Si immagini quindi a quanto lavoro risparmiato per le imprese, recuperato magari a favore di attività più utili alla generazione del profitto.
Mantenere la conoscenza dei nostri predecessori
Ma il vero valore insito in questo nuovo paradigma sta nel fatto che il processo umano per la creazione di conoscenze sui fatti è incrementale.
Aggiungere fatti all’interno di un DB è sempre stato possibile, adesso è possibile ampliare anche la loro descrizione. In pratica è ora possibile ampliare le conoscenze umane sui fatti in modo smisurato, senza che le applicazioni software ne risentano.
Ciò implica immediatamente che le conoscenze degli umani sui fatti si accumulano senza più la necessità di “abbattere l’edificio per riedificarlo”. Un paradigma, questo, che sembra mutuato dalla divertente situazione descritta dall’indimenticabile Massimo Troisi nel suo film d’esordio “Ricomincio da tre”. In quel caso il protagonista confutava al suo amico la sentenza “ricomincio da zero” poiché a lui erano riuscite bene tre cose e non voleva buttarle via!
L’applicazione quindi delle tecnologie dell’Epistematica offre in realtà la possibilità di aggiungere alle conoscenze delle generazioni passate su un certo dominio di fatti, le nostre conoscenze, quelle attuali, senza perdere nulla del sapere passato. E il calcolatore sarà in grado di trattare le conoscenze attuali con lo stesso meccanismo con cui tratta quelle passate, facendo in modo che gli utilizzatori attuali possano servirsi anche delle conoscenze degli esperti che sono venuti prima di loro.
Non più solamente tramandare conoscenze umane ad altri uomini attraverso il processo tradizionale di scrittura e apprendimento, ma impiegare un medium in grado di restituirci fatti secondo criteri basati sul “sapere” di individui a noi forse sconosciuti, le cui conoscenze potrebbero non essere ancora in nostro possesso.
Le conoscenze dei nostri predecessori saranno quindi accumulate e trattate dai calcolatori. Essi potranno offrirle agli utilizzatori dei sistemi epistematici dando quel valore che attraverso i processi tradizionali avrebbe richiesto molto tempo da dedicare all’apprendimento, sempre alla condizione di sapere cosa apprendere e dove recuperare quelle conoscenze.
Economia della Conoscenza e Società della Conoscenza
Epistematica ed Economia della Conoscenza
Sarà proprio l’introduzione dell’Epistematica a favorire imprese e professionisti nelle loro attività poiché per la prima volta potranno utilizzare applicazioni software in grado di restituire risultati “esatti” e non “probabili”, secondo un approccio deterministico e non più statistico. E questo fatto nuovo innescherà un processo virtuoso in grado favorire lo sviluppo del Business-To-Business, cosa mai potuta avvenire prima in modo compiuto. Solo allora si potrà manifestare per la prima volta la forma di economia basata sulle conoscenze prevista troppo anticipatamente dagli economisti di fine millennio, cioè l’Economia della Conoscenza.
Solamente il cambio di paradigma indotto dall’Epistematica, che vuole i calcolatori soggetti in grado ormai di usare le conoscenze degli uomini, potrà innescare quindi la nuova rivoluzione economica. Ma per raggiungere questo obiettivo è necessario avviare un processo graduale che miri a descrivere le conoscenze umane in modo adeguato all’impiego che ne dovranno farne i calcolatori in autonomia.
Nuove figure professionali
Descrivere conoscenze per generare una KB è decisamente più complesso che creare un DB. E mantenere una KB è molto più complicato che mantenere un DB. Oltre alla tradizionali competenze che la figura professionale tradizionalmente impiegata in Informatica per progettare e mantenere un DB, il DB Administrator, progettare e mantenere una KB necessita di nuove competenze e diverse abilità.
L’Epistematica necessita di una nuova figura professionale inutile per l’Informatica: il Knowledge Base Administrator. Questa figura, corrispondente al DB Administrator nel precedente paradigma, sarà il “depositario” delle conoscenze e non più dei dati. Dovrà gestire il “sapere”, e non più l’informazione, utile alle imprese e ai professionisti.
La nuova figura professionale di KB Administrator deve porsi quindi come medium tra il calcolatore e l’esperto del dominio dei fatti. Conoscendo i limiti della logica e quelli della computabilità, il KB Administrator deve interpretare la realtà dei fatti e trasformarla in un costrutto coerente, utilizzabile dal calcolatore, cioè consistente. Questo medium deve perciò possedere quelle competenze per poter analizzare la realtà dei fatti, astrarne il significato e operarne una rappresentazione mediante appositi linguaggi formali adatti ad essere utilizzati dai sistemi inferenziali.
E per fare ciò, questo medium non deve conoscere particolari strumenti software o avere esperienze di progettazione software particolari, ma deve padroneggiare la logica e conoscere quale tipo di logica e quale metodo di ragionamento viene adottato dai sistemi inferenziali impiegati nelle applicazioni software.
Una figura professionale di questo tipo non è mai stata necessaria nell’ambito dell’Informatica poiché le tecnologie dell’informazione non possono trattare conoscenze. Quindi nessuna figura professionale con profilo essenzialmente informatico può essere impiegata in questo ambito.
Tuttavia nell’ambito delle computer science, precisamente nel campo dell’Intelligenza Artificiale, esistono percorsi formativi destinati a fornire queste competenze: gli ingegneri della conoscenza.
Le persone che escono da questi percorsi però vengono impiegati in altri ambiti. Essi collaborano prevalentemente ai progetti di ricerca e sviluppo per la realizzazione di nuove tecnologie e non si occupano della loro applicazione. Inoltre, tali figure professionali non possiedono di solito quelle competenze per l’analisi della realtà e la sua rappresentazione.
Ma questa figura professionale esiste già: è un filosofo della conoscenza.
Umanesimo tecnologico e rinascimento digitale
Filosofi nelle aziende e nelle organizzazioni
Infatti coloro che desiderano intraprendere un percorso di studi in Filosofia, tra le varie branche filosofiche possono scegliere di frequentare un corso di laurea in “Filosofia della Conoscenza”.
Il termine "Filosofia della Conoscenza", assimilabile al termine inglese "Epistemology", è quella branca della Filosofia che tratta la giustificazione del valore conoscitivo delle affermazioni scientifiche. I filosofi della conoscenza perciò, studiano il rapporto con le cosiddette scienze positive, siano queste dimostrative e a priori (logica, matematica, ecc.) oppure empiriche e a posteriori (fisica, biologia, sociologia, ecc.). I filosofi della conoscenza si occupano quindi anche dell'attività conoscitiva riguardante le conoscenze di senso comune o i criteri della conoscenza percettiva.
Coloro che si formano attraverso un percorso simile possiedono una solida conoscenza delle problematiche relative ai modelli della formazione e delle elaborazioni delle conoscenze (intelligenza artificiale, psicologia cognitiva), e anche buone conoscenze delle scienza formali (logica, logica matematica, matematiche complementari). Questo percorso permette di formare figure professionali in possesso di competenze utilizzabili nelle attività lavorative legate alla elaborazione delle informazioni e delle conoscenze.
Inserito quindi in un ambiente lavorativo, all’interno di un’impresa o di una organizzazione qualsiasi, un filosofo della conoscenza può assumere il ruolo di “trascrittore” di conoscenze umane ormai non solamente memorizzate all’interno dei calcolatori, ma adesso tramandate da umano a calcolatore. In questo nuovo scenario il calcolatore assume un ruolo fondamentale mai svolto prima, quello di “custode” delle conoscenze umane accumulate nel tempo.
Ma in questo nuovo paradigma il filosofo della conoscenza, inserito all’interno delle imprese o delle organizzazioni in cui si pone come KB Administrator, è una figura professionale paragonabile a un monaco benedettino medievale intento a copiare a mano i “classici” sulla pergamena. E il calcolatore è paragonabile alla biblioteca del monastero benedettino, luogo in cui si collezionavano le “conoscenze” del passato, trascritte in latino o nelle lingue originali.
E fu proprio il Monachesimo, con la sua missione di tramandare le conoscenze del passato ad innescare quel formidabile fenomeno culturale che chiamiamo Umanesimo, che fu preludio all’uscita dal Medioevo e che fu all’origine del Rinascimento. Una rivoluzione culturale, questa, che affermò nuovi modelli economici, politici e sociali su cui si basa ancora in buona sostanza la società attuale.
Tutto peraltro scaturì dall’introduzione di nuove tecnologie inventate anche grazie all’analisi delle conoscenze del passato, riscoperte nei testi classici rimasti nell’oblio per secoli. E l’innovazione tecnologica più importante fu proprio l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Con essa nacque il modello di comunicazione uno-a-molti e l’umanità entrò nella Società dell’Informazione.
Un tipo di società questa in cui chi possedeva le informazioni, otteneva un vantaggio competitivo enorme sugli altri, guadagnando una posizione economica e di potere rilevante. E quella forma di economia è quella che viviamo ancora oggi, quella basata sul progresso, che adesso manifesta evidentemente i propri limiti. Un modello ormai non più virtuoso a causa dell’iper-informazione a cui tutti siamo soggetti. Una quantità di informazioni sproporzionata che ci arriva proprio grazie all’impiego delle Tecnologie dell’Informazione, cioè dell’Informatica che, come già detto in precedenza, ha contribuito a produrre la Società dell’Iper-informazione, una forma regressiva della rinascimentale Società dell’Informazione.
Verso la Società della Conoscenza
Ma finalmente si sta affacciando l’Epistematica, un’innovazione tecnologica paragonabile a quella di J. Gutenberg, che per la prima volta dal periodo rinascimentale modificherà finalmente i paradigmi del trasferimento di conoscenze umane.
Calcolatori e filosofi, protagonisti dell’Epistematica, saranno quindi gli strumenti di un nuovo umanesimo tecnologico che innescando una nuova forma “rinascimento digitale”, potrà far approdare finalmente l’umanità ad una nuovo modello di società, affrancandola dai limiti della vecchia e ormai obsoleta Società dell’Informazione.
Luca Severini, è la persona che ha coniato il termine “epistematica”. Nel dizionario italiano esiste il termine “epistematico” [deduttivo] impiegato come aggettivo maschile. Il sostantivo femminile “epistematica” è una nuova voce composta dai termini "epistème" [conoscenza] e "informatica" [trattamento automatico dell'informazione], che assume per analogia il significato di "trattamento automatico della conoscenza". L'Epistematica studia, crea e applica tecnologie che permettono ai calcolatori elettronici di simulare comportamenti intelligenti mediante processi inferenziali effettuati su apposite basi dati arricchite semanticamente, dette basi di conoscenza. Vedi anche http://it.wikipedia.org/wiki/Epistematico Luca Severini è il fondatore della società che prende come denominazione il termine da lui coniato. Epistematica Srl è l’impresa che per prima in Italia si è specializzata nell’applicazione delle tecnologie semantiche per la formalizzazione e il trattamento automatico di conoscenze. l.severini@epistem