Numero 26

L’IDENTITA’ DELLA FORMAZIONE
IN UN CONTESTO DI “QUALITA’ DEL SERVIZIO”.


Alessandro Cafiero

 

Premessa

Con la generale crescita della domanda di formazione da parte delle imprese si è ormai sviluppato tra i clienti/committenti (le stesse imprese) e chi “eroga” il servizio (le società/enti di formazione) un interessante e positivo confronto che, partendo dalla definizione di qualità come ”completa soddisfazione delle esigenze del cliente”, cerca di analizzare quale sia l’attuale livello di qualità dell’attività formativa.

Il problema, non di facile soluzione, diventa ancor più complesso quando il cliente/utente considerato è un’impresa che produce servizi e la cui domanda di formazione ha come destinatari le stesse risorse umane a cui, all’interno della struttura, e affidato di fatto il successo dell’iniziativa aziendale.

 

L’identificazione dell’offerta formativa

Pomegranates

In questi ultimi anni, almeno cosi mi è parso di comprendere attraverso le attività svolte e i rapporti sviluppatisi tramite queste, le imprese hanno ormai maturato sulla formazione alcune consapevolezze rivolte, se non altro, a verificare il giusto diritto di ottenere risultati dagli investimenti, spesso cospicui, in questo tipo di attività.

Consapevolezze, d’altronde, maturate sul continuo alternarsi di successi e/o insuccessi della formazione provocati da quei soggetti erogatori (società od enti esterni) che essendo stati incaricati di avviare iniziative formative hanno, comunque, disatteso il concetto di ”soddisfazione del cliente”.

Ciò accade perché spesso il fornitore, in funzione di una sempre più costante crescita della domanda di formazione, è maggiormente portato a ”vendere” un prodotto formativo (magari ineccepibile dal punto di vista teorico ma assolutamente inutile nell’applicazione in quella determinata azienda) e non ad ”offrire un servizio” al cliente.

Si sono, in pratica, creati e sviluppati due filoni operativi della formazione:

  • un primo filone ”orientato al prodotto”,
  • un secondo filone ”orientato al mercato”.

        
Nel primo caso la società chiamata ad erogare il servizio ha come obiettivo l’attuazione di un’attività formativa che soddisfi semplicemente la domanda (pacchetto formativo), nel secondo caso il fornitore si pone come obiettivo il soddisfacimento del bisogno del cliente tramite l’erogazione del servizio ”ad hoc” proponendosi, in questo modo, di ottenere non il risultato a breve ma l’avvio di azioni concrete e corrette che portino al complessivo cambiamento/miglioramento della struttura organizzativa del cliente.
Se, in riferimento a questi due modelli, ci dovessimo poi porre la domanda: ”Ma dov’è di casa la qualità?”, la risposta sarebbe, evidentemente, implicita: ”Nella formazione orientata al mercato! ”.

Ciò che in realtà è molto preoccupante è che molte società (o enti) vendono il loro prodotto formativo camuffandosi nel filone dell’orientamento al mercato.

 

Qualità reale e qualità apparente.

Troppo spesso, infatti, accade uno strano fenomeno. Il fornitore nel presentare il proprio pacchetto formativo al cliente evidenzia (ed enfatizza!) tutti i processi interni che conducono all’efficiente erogazione della formazione (l’analisi dei bisogni, la progettazione, la selezione dei destinatari, l’efficienza/efficacia della docenza, l’utilizzo di adeguati strumenti di audit all’avvio, durante e al termine del corso, le relazioni finali, ecc...) proponendosi, quindi, di operare in un contesto di qualità ottimale.

A questo punto il cliente si sente più sollevato, pensando di avere a disposizione un adeguato strumento per operare il cambiamento/miglioramento previsto. La mistificazione consiste nel fatto che il fornitore si è diretto verso la pura vendita del suo prodotto e non verso la soluzione del problema del cliente, cioè la soddisfazione dei suoi reali bisogni.

Per quest’ultimo, inoltre, un simile approccio provoca inevitabilmente degli effetti negativi. Alcuni emergono quasi immediatamente, altri compaiono con il tempo.

Relativamente agli effetti immediati possiamo riscontrare:

  • la difficoltà di tradurre in azioni ciò che ha prodotto l’attività formativa;
  • la tendenza a ”rimuovere” l’esperienza formativa;
  • il ritorno alle vecchie e consolidate abitudini operative, identificate come le uniche valide.

 

Relativamente agli effetti nel medio-lungo periodo si può riscontrare:
                                                                               

  • la marcata autovalorizzazione delle soluzioni trovate all’interno;
  • l’affannosa e continua ricerca di formule terapeutiche proposte esclusivamente con operazioni interne e il proprio ”stile” di conduzione;
  • la convinzione di essere l’unico detentore/risolutore delle problematiche formative della propria struttura.

In poche parole, attraverso una sorte di ”deformazione qualitativa” del servizio si giunge non solo alla insoddisfazione del cliente ma, addirittura, a produrre ”miraggi” di efficacia autoformativa quasi mai traducibili in azioni di miglioramento all’interno dell’azienda.

 

Il “valore” della formazione.

In definitiva, se effettivamente si vuol parlare di qualità nella formazione bisogna tener conto almeno di due sue caratteristiche peculiari:

  • La formazione, in se, non produce risultati ma stimoli che provochino azioni volte ad ottenere risultati aziendali attraverso la valorizzazione delle risorse umane.
  • Essa, se coerente col principio di essere un ”servizio reale al cliente”, deve sviluppare nei destinatari delle attività, a fondo e senza mistificazioni, la profonda comprensione degli obiettivi dell’ organizzazione e l’ambito in cui quest’ultima si muove.

 

Inoltre, relativamente al cliente (chi cioè ha commissionato l’attività), per non vedere disattesi nè i risultati, nè gli investimenti utilizzati, è opportuno che:

  • si faccia coinvolgere attivamente dal processo formativo che egli stesso ha incaricato di attivare;
  • si impegni responsabilmente a realizzare gli obiettivi di miglioramento prefissati, a volte esponendosi anche a rischi non previsti.

 

Per quanto concerne il fornitore (chi, cioè, eroga il servizio), per operare fattivamente in termini di qualità dovrà porre attenzione ad alcuni punti cruciali:

  • tener conto delle diverse variabili ”patrimonio” del cliente/azienda (tipo di prodotto, di mercato, immagine, cultura aziendale presente, risorse umane, abitudini, ecc...);
  • preoccuparsi di individuare nel cliente/azienda le interfacce funzionali   (management, quadri, ecc...) che attivino praticamente i contenuti della formazione, fornendo anche indicazioni sulle eventuali modalità operative e comportamentali per conseguire i risultati;
  • essere coinvolto direttamente e attivamente nell’affiancare i destinatari della formazione, aumentando il senso di sicurezza e favorendone la loro valorizzazione come soggetti di cambiamento.

 

In conclusione, ciò che in realtà serve ad un fornitore di attività formative che si proponga come fine la soddisfazione delle reali esigenze del cliente è di considerarsi, per un certo periodo di tempo, come un organismo del cliente stesso.

Inoltre, proprio per il fatto di proporre un cambiamento/miglioramento, è necessario che egli sia coinvolto nella vita aziendale più di qualsiasi altro collaboratore. Per dirla con una famosa ma semplice frase:
”Mettersi (… effettivamente …) nei panni del cliente”.