Numero 28

Emozioni e creatività

NELLA FORMAZIONE AZIENDALE DEGLI ADULTI


di Fernando Dell’Agli

 

Evoluzione delle organizzazioni ed evoluzione della formazione nel secolo XX

Nei primi decenni del XX secolo le imprese, spinte dall’esigenza di produrre in tempi brevi quantità sempre maggiori di beni per rispondere a mercati in forte espansione, e non disponendo di personale qualificato e adatto alla bisogna, si orientano verso l'estrema parcellizzazione e la ripetitività delle operazioni produttive, facili da insegnare e rapide da apprendere anche da parte di persone (agricoltori, mandriani) estranee al mondo industriale.

Semplificando in maniera forse brutale potremmo affermare che la concezione taylorista-fordista punta sulla forza muscolare e sulla docilità del lavoratore (l’ “uomo bue” di S. F. Taylor) e non sulle sue capacità intellettive e critiche, considerate non necessarie, anzi …di intralcio al manovratore, vale a dire al vertice che dirige l’impresa.

In questa ottica ci si preoccupa di addestrare il personale alla corretta esecuzione di semplici attività pratiche, gestite grazie ad una complessa struttura di comando e di controllo, ignorando la formazione ai comportamenti; la comunicazione è prevalentemente del tipo top-down, finalizzata solo alla trasmissione delle decisioni del vertice alla base che le deve eseguire, e gli aspetti relazionali sono in genere sostanzialmente trascurati.

La Teoria Razionale (Taylor, intorno agli anni venti), sostiene che è l’organizzazione che determina il risultato; l’integrazione tra individuo e organizzazione è di tipo passivo, basata su di una rigorosa ripartizione dei compiti, sull’omogeneità delle attività svolte, sul coordinamento affidato ad un solo responsabile e su una struttura di controllo ampia e diffusa.

L’importanza delle diverse componenti dell’individuo, vale a dire di quella intellettiva e di quella emotiva, al di là di quella puramente fisica, e dei ruoli che queste possono giocare nelle organizzazioni, è ignorata; potremmo dire, osservando il fenomeno anche solo da un punto di vista meramente economico, prescindendo dagli aspetti socio-etici, che l’organizzazione limita il contributo della maggior parte dei suoi membri a quello della pura forza muscolare, con evidente spreco o mancato utilizzo di energie.

Questa visione dell’uomo è ben lontana dalla concezione olistica dell’essere umano che è proposta, ad esempio, dall’approccio della Gestalt Psicosociale.

 

Lo psicologo gestaltista francese Serge Ginger parlando dell’uomo completo fa riferimento ai cinque poli essenziali del modello leonardesco, ovvero il polo fisico-corporeo e quello affettivo-emotivo (le gambe nel disegno di Leonardo che riproduce l’uomo di Vitruvio), il polo mentale-cognitivo e quello relazionale-sociale (le braccia nello stesso disegno), e infine quello spirituale (la testa) che pone l’essere in relazione significativa con l’Universo.

Se confrontiamo la visione dell’uomo proposta dal modello tailoristico con la visione olistica appena sopra descritta, vediamo chiaramente i limiti e gli inconvenienti per gli individui e le organizzazioni di una visione così riduttiva, ancorché comprensibile se riferita al momento storico in cui è nata per rispondere a concrete esigenze di addestramento in tempi rapidi di manodopera non qualificata.

Nei decenni successivi (e qui per brevità si sorvola su molti aspetti di un processo di per sé lungo e complesso, arrivando rapidamente ai tempi nostri), per lo sviluppo della tecnologia e per l’aumento dei concorrenti, che determina maggiore consapevolezza ed accresciute esigenze da parte dei clienti, le organizzazioni provano, anche se non sempre in maniera chiara e consapevole, un crescente bisogno di integrazione tra le funzioni e le persone al loro interno, e di strutture agili e flessibili in grado di rispondere rapidamente alle mutevoli esigenze del mercato; bisogno cui non risponde certo una struttura così rigida come quella taylorista-fordista.

Parallelamente, dopo la seconda Guerra Mondiale lo sviluppo delle Scienze Umane, soprattutto negli Stati Uniti, fornisce apporti significativi alla conoscenza ed alla comprensione delle organizzazioni e dei comportamenti degli individui che ne fanno parte. Le teorie organizzative non sono più appannaggio prevalente degli ingegneri, ma ricevono forti contributi dalla sociologia e dalla psicologia; si viene scoprendo l’importanza degli individui nelle e per le organizzazioni (la centralità delle “risorse” umane…).

La Teoria Sociale (Douglas McGregor, seconda metà degli anni cinquanta), ribaltando la visione tayloristica, sostiene che è l’individuo che determina il risultato; l’integrazione tra individuo e organizzazione è di tipo attivo, e gli aspetti organizzativi fondamentali sono l’importanza della risorsa umana, la responsabilità personale e la delega.

D’altra parte nella seconda metà del secolo emerge il principio della Qualità Totale, che può essere ottenuta solo con il coinvolgimento e la responsabilizzazione di tutti, a tutti i livelli, con la leadership partecipativa, la comunicazione aperta e con sistemi premianti adeguati.

Il contributo della cultura industriale giapponese, che pone l’attenzione al processo per ottenere il risultato desiderato, introduce il concetto determinante di autocontrollo, che presuppone una gestione consapevole del proprio lavoro ed uno sforzo creativo per la risoluzione dei problemi, mentre i concetti del marketing applicati all’organizzazione (il rapporto fornitore interno-cliente interno) pongono in una nuova luce le relazioni interpersonali ed interfunzionali.

Intorno agli anni sessanta - settanta la comprensione delle motivazioni  che spingono gli individui a determinati atteggiamenti e comportamenti funzionali per le organizzazioni – elemento determinante per la gestione delle risorse umane - impegna illustri studiosi di scienze sociali.

 

Abraham Maslow, osservando il comportamento nel tempo di diversi individui nelle organizzazioni,  introduce il concetto di una gerarchia dei bisogni, che spingono gli individui a soddisfarli, secondo una logica che porta a cercare di soddisfare i bisogni di livello superiore solo quando quelli di livello inferiore sono soddisfatti, e pone al vertice del suo modello (la piramide di Maslow) il bisogno di auto-realizzazione, da cui discende che un lavoro che permetta di esprimere appieno i propri talenti può essere più gratificante – e quindi più motivante, in termini di impegno e di “commitment” verso l’Azienda –  di un lavoro arido o ripetitivo, ancorché meglio retribuito.

Frédérick Herzberg, sviluppando ulteriormente con osservazioni sperimentali gli studi di Maslow, distingue tra fattori igienici, la cui assenza demotiva fortemente gli individui, ma che da soli non sono sufficienti a stimolare una reale motivazione al lavoro (ad esempio l’arredo e il decoro dell’ambiente di lavoro) e fattori motivanti, ovvero quelli realmente capaci di generare motivazione, quali appunto la possibilità di svolgere un lavoro interessante che metta alla prova e consenta di sviluppare le capacità personali e le doti migliori di ciascuno.

A livello di teorie organizzative, a metà degli anni settanta nasce la Teoria dei Sistemi, che afferma il condizionamento reciproco tra individuo e organizzazione e vede la loro integrazione come interdipendenza.

 

La gestione e lo sviluppo del personale e la formazione


La “conoscenza” degli uomini acquisisce sempre maggiore importanza per le organizzazioni, poiché ad essi devono essere demandate, e in misura crescente, decisioni che non possono essere rinviate a livelli gerarchici superiori per motivi di rapidità e flessibilità operativa; si pone quindi attenzione crescente alla valutazione degli individui, sia per quanto riguarda le loro prestazioni (valutazione ex post delle loro capacità già espresse) che per quanto concerne il loro potenziale (valutazione ex ante delle capacità che si presume saranno in grado di esprimere in determinate situazioni di responsabilità e di incertezza).

Per quanto riguarda l’Italia Cesare Kaneklin ci ricorda che “..è negli anni ’50 che si pone, infatti, il problema della ‘conoscenza dell’uomo’ non più come fenomeno accademico…ma come sviluppo della psicotecnica confrontata con grandi masse di nuovi lavoratori richiesti dalle fabbriche e da immettere rapidamente nel sistema produttivo.” (1)

Viene data – o si cerca di dare - maggiore attenzione ed importanza alla comunicazione ed alle capacità di relazione, si studiano le relazioni tra individui all’interno dei gruppi di lavoro e le relazioni tra gruppi diversi all’interno delle organizzazioni.

Agli individui inseriti nelle organizzazioni non è più chiesto solo di “saper fare”, cioè di acquisire attraverso l’apprendimento determinate abilità pratiche, ma anche di “saper essere”, vale a dire di adottare comportamenti ed atteggiamenti funzionali alla organizzazione e ai suoi scopi.

 

La formazione cerca di facilitare il passaggio dal semplice “saper fare” al “saper essere” e di orientare e facilitare l’integrazione tra gli individui e tra questi e l’organizzazione; emerge quindi l’importanza che i diversi livelli della esperienza - e soprattutto tre di questi, il cognitivo-verbale, l’immaginativo e l’emotivo - vengono ad assumere nell’apprendimento e nella formazione degli adulti (ne è stata percorsa di strada rispetto all’approccio dei primi anni del secolo!)

 

Alcune carenze della formazione come è oggi realizzata in molte aziende

Tuttavia permangono alcuni gravi limiti nel modo in cui ancor oggi in Italia in molte aziende, soprattutto medio-piccole, nel fare formazione si dà spazio ed importanza ai diversi livelli dell’esperienza individuale, e più in generale ad una visione “olistica” dei soggetti che operano nelle organizzazioni; questo avviene a mio avviso soprattutto per arretratezza culturale della committenza,  e - più raramente - anche per scarsa sensibilità o disponibilità dei formatori.

La letteratura ci ha offerto negli ultimi anni ampi elementi di riflessione e interessanti stimoli in termini di nuovi approcci formativi e di sviluppo del personale, ma questi stentano a trovare applicazione nella maggioranza delle aziende.

A livello di alcune grandi aziende, peraltro più evolute nei confronti della formazione, esistono tuttavia i limiti che, con le parole di Cesare Kaneklin, potremmo definire“…una cultura organizzativa caratterizzata da valori di semplificazione e controllo della soggettività, più che da una sua promozione ed utilizzazione” e più oltre “…l’illusione che l’organizzazione è un sistema stabile o da stabilizzare e che al più le variazioni sono quelle del mercato e dell’ambiente con i quali bisogna stabilire un rapporto positivamente adattivo.” (2)

In molte piccole e medie aziende il fare formazione si scontra con modelli culturali ed organizzativi arcaici; qualche anno fa, mentre tenevo un corso su principi di organizzazione e di comunicazione aziendale ad un gruppo di impiegate – in una Impresa Multinazionale che per prima nel Centro-Sud voleva promuovere i ruoli impiegatizi femminili nel quadro della legge sulle pari opportunità – mi sono sentito dire da una partecipante: ”…tutto ciò che ci dici è molto stimolante ma inapplicabile; so già che al mio ritorno in ufficio il mio Capo mi dirà di non pensare, perché è lui il Capo e pensa lui per tutti!”

Lamentele simili sono purtroppo molto frequenti, e sottolineano il divario tra ciò che è vissuto in aula e pratica quotidiana, tra stimoli innovativi e cultura prevalente in azienda.

Molte aziende in effetti fanno formazione perché è possibile ottenere i finanziamenti della Unione Europea, più che per una reale convinzione della utilità di stimolare processi di trasformazione culturale al loro interno e di favorire lo sviluppo delle capacità personali e professionali; questo mal si concilia con le sfide che provengono da un ambiente esterno, sociale ed economico, in tumultuoso ed imprevedibile mutamento.

Le esigenze imposte dal cambiamento

L’aspetto del cambiamento sempre più rapido, non solo nella tecnologia ma nei modelli e valori di riferimento, è quello che destabilizza molte aziende e crea elevati livelli di incertezza, di inadeguatezza e quindi di ansia tra i loro dipendenti; questo si percepisce soprattutto tra le persone meno giovani e scolarizzate, ma anche tra i capi intermedi e tra gli stessi dirigenti, i quali sono spesso degli autodidatti, e se non vengono loro offerti modelli interpretativi e gestionali avanzati tentano di gestire l’incertezza e la complessità ripetendo atteggiamenti logori e obsoleti.

Il ritmo e la natura dei cambiamenti che abbiamo potuto osservare negli ultimi anni dentro e fuori le aziende è incomparabilmente più rapido ed imprevedibile di quello osservato nei decenni precedenti.

Prima ciò che uno aveva studiato a scuola o all’università rappresentava un investimento a lungo termine, poiché i cambiamenti nelle conoscenze e nell’evoluzione dei mercati erano più lenti di adesso e ciò che si era appreso durante gli studi poteva poi venir speso utilmente per molti anni a venire in ambito professionale.

La fedeltà all’azienda era un valore ed il matrimonio tra azienda e dipendente era più stabile del legame con il proprio partner…anzi si favoriva il perpetuarsi delle dinastie nelle aziende, in base al principio talis pater talis filius !

Inoltre i modelli di riferimento, sia a livello culturale sia a livello organizzativo sia infine in ambito relazionale e sociale, mutavano meno rapidamente di oggi, ed era più facile trovarne di già collaudati e consolidati ai quali ispirarsi in caso di necessità.

Tutto ciò portava molte aziende a soddisfare i bisogni di formazione proponendo modelli e risposte di tipo intellettivo più che esperienziale completo; in altre parole spesso si fornivano - e a volte ancora oggi si forniscono - strumenti e utensili belli e fatti, risposte preconfezionate, modelli da apprendere a livello cognitivo e ai quali doversi adeguare in modo in fondo abbastanza passivo.

Alcune esigenze fondamentali cui cercare di dare risposta attraverso la formazione

Oggi invece le organizzazioni devono cercare di trovare risposte sempre più soddisfacenti, in termini di formazione ma soprattutto di gestione e di sviluppo del personale, ad alcuni temi fondamentali per la loro sopravvivenza e la loro crescita nel tempo in un contesto così mutevole, così contraddittorio e denso di incognite ma anche di stimoli e di fermenti:

  • l’equilibrio dinamico tra il rispetto delle differenze e delle caratteristiche individuali da un lato, e l’orientamento dei comportamenti e degli atteggiamenti dei singoli in modo congruente con le esigenze organizzative dall’altro, stimolando motivazione e coinvolgimento consapevole
  • l’abitudine a lavorare efficacemente in gruppo e a trovare insieme risposte ai problemi
  • la qualità come forma mentis, come “il bello e il ben fatto” dell’artigiano medievale
  • l’esigenza di stimolare a tutti i livelli, compresi i più bassi, lo spirito di iniziativa e di intraprenditorialità (entrepreneurial spirit, dicono gli anglosassoni) dei loro membri
  • la capacità di “creare” nuovo sapere e nuove conoscenze (la Learning Organization)

 

Il primo tema ha fortemente a che fare con la motivazione ed il coinvolgimento; il termine “risorse umane” tradisce una concezione economico-utilitaristica e produttivistica – e quindi riduttiva –  del ruolo degli individui nelle organizzazioni, e la formazione che ne deriva rischia di essere di tipo manipolatorio.

Il secondo attiene alle capacità relazionali, con tutte le loro implicazioni emotive; gli altri problemi implicano la mobilizzazione delle capacità immaginative e creative, della progettualità di ciascuno in termini individuali e collettivi.

Ho ricordato poco prima il concetto di qualità implicito nella attività dell’artigiano medievale; la parola Qualità come la intendono oggi le aziende gli era certo sconosciuta, eppure il bravo artigiano la realizzava istintivamente, quando di un suo manufatto si poteva dire che era bello (e procurava quindi la soddisfazione del cliente attraverso un’emozione di tipo estetico) e ben fatto, cioè soddisfaceva le esigenze pratiche di chi doveva servirsene (era rispondente all’uso).

A ben vedere, l’artigiano assommava in sé - in una singola persona - le diverse funzioni che oggi sono assolte da una azienda intera: si occupava di marketing quando andava in giro per i villaggi e si rendeva conto dei bisogni dei villani, si dedicava alla progettazione quando disegnava i suoi manufatti, provvedeva agli approvvigionamenti quando nel bosco sceglieva i quercioli giovani per i manici delle zappe o sul greto del fiume raccoglieva l’argilla per i suoi vasi; infine si occupava di vendita quando andava ad offrire le sue merci sulle piazze e sulle fiere…e magari faceva anche assistenza tecnica se qualcuno gli chiedeva di sostituirgli il manico di una falce o di un rastrello!

Infine applicava istintivamente il controllo di qualità, perché se si accorgeva che un manufatto – un vaso, ad esempio – non era riuscito bene, lo distruggeva e lo rifaceva, perché sapeva che  nessuno gli avrebbe comprato un oggetto mal fatto.

E la concorrenza si giocava proprio in termini di maggiori o minori capacità personali, sia nel saper immaginare e creare che nel saper fare, cioè realizzare quanto ideato.

Il significato profondo della Qualità Totale va ricercato nello sforzo di ricomporre e di ricondurre ad unità ciò che è stato spezzato dalla parcellizzazione dei compiti conseguente alla produzione industriale di massa; per riuscirvi, si cerca a livello di individui di fare appello a tutte le loro capacità (creatività, iniziativa) e di porli in condizione di gestire anche l’errore e l’imprevisto (autocontrollo), e a livello di organizzazione di ottenere la massima sinergia ed integrazione tra funzioni, (la fabbrica integrata) favorendo la comunicazione e le relazioni interpersonali positive.

Una formazione “a misura d’uomo”

 

Ci troviamo di fronte alla necessità di una visione sistemica dei problemi, che non può prescindere da una visione globale da parte di coloro cui è demandato il compito di risolverli.

Un approccio olistico alla persona, ed una formazione che coinvolga i diversi poli - come li chiama S. Ginger - dell’essere umano e faccia appello ai diversi livelli dell’esperienza, rappresentano alcune risposte possibili ai problemi citati.

Sembra evidente che una formazione che tenda a favorire questo tipo di approccio debba fondarsi su alcuni presupposti:

  • una committenza che valorizzi e faccia crescere umanamente e professionalmente i membri dell’organizzazione, non in modo manipolatorio e finalizzato esclusivamente a scopi utilitaristici ma assumendosi precise responsabilità umane e sociali, ben sapendo che individui realmente migliori e genuinamente motivati sotto il profilo personale e professionale faranno migliore e più prospera l’organizzazione
  • un impegno costante ed un esempio concreto dei vertici aziendali, che rendano possibile applicare “qui e ora” nelle attività quotidiane quanto elaborato dai singoli sotto gli stimoli dei momenti formativi, favorendo una cultura ed una condivisione di valori umani e professionali in cui tutti possano riconoscersi e un clima aziendale che faciliti le relazioni costruttive, creando una “casa” che tutti possano “abitare” volentieri.
  • una metodologia formativa che stimoli il gusto dell’imparare ad imparare e quindi a fabbricare nuove conoscenze; oggi infatti in molti casi siamo oltre le Colonne d’Ercole del sapere codificato e statico che si usava in passato. Per fare questo serve una formazione che ponga domande più che offrire risposte, che stimoli gli individui a trovare da sé molte delle risposte facendo ricorso a tutti i livelli dell’esperienza, ed una organizzazione che accetti e valorizzi le diversità, facendole intelligentemente convergere verso obiettivi comuni.

 

La gestione delle persone nelle organizzazioni dovrà “...valorizzare il diritto alla diversità, l’originalità irriducibile di ogni individuo” e improntarsi quindi ai concetti “…di sviluppo personale, di formazione (intesa nel senso etimologico di ‘messa in forma’ o ‘Gestaltung’) ” (3).

Acquisterà importanza crescente per le organizzazioni ciò che Goldstein diceva già nel 1934: “Il normale deve essere definito non attraverso l’adattamento, ma al contrario attraverso la capacità di inventare nuove norme” (4), perché solo attraverso la creatività e l’iniziativa di ciascuno dei loro membri le organizzazioni stesse potranno crescere e prosperare.

Come ci insegna la Gestalt Psicosociale “il nostro confine di contatto è l’orizzonte, il “cancello” che varchiamo nell’esplorazione del nuovo; al di qua il conosciuto e l’acquisito, al di là, l’ignoto e la creatività.” Al di qua il conosciuto, che è rassicurante appunto perché noto, ma è insufficiente a rispondere alle sempre nuove domande e ai nuovi bisogni; al di là l’ignoto, che può anche intimorirci, ma sicuramente stimola la nostra curiosità e la nostra creatività.

Sta a noi trovare l’equilibrio tra il noto e l’ignoto, tra i due versanti del confine di contatto, in un fertile alternarsi di contatto e ritiro.

E’ comprensibile la resistenza che tutto questo incontra nelle organizzazioni, timorose di spinte anarcoidi o centrifughe, o comunque della difficoltà di conciliare la diversità e le caratteristiche individuali con la convergenza verso gli obiettivi aziendali; è qui che la formazione, di nuovo facendo appello alla persona nella sua interezza, e per questo cercando nuovi e più articolati approcci al di là del tradizionale momento d’aula, può proporre risposte in termini di responsabilità personale e di coinvolgimento consapevole.

E’ opportuno a questo punto fare alcune considerazioni in termini di approccio e di metodo:

  • I momenti d’aula sono troppo brevi e non sempre adatti ad attivare realmente una consapevolezza dei propri livelli di esperienza immaginativa ed emotiva; per cercare di ovviare a questo limite, in aula, dopo il giro di tavolo di presentazione dei partecipanti, è stimolante accennare al tema che verrà trattato, ma non procedere subito ad una sua illustrazione sistematica e chiedere invece ai partecipanti cosa ne pensano, cosa ne sanno, quali riflessioni il tema stimola in loro.

Questo crea un clima costruttivo tra i membri del gruppo e attiva rapidamente i livelli immaginativo ed emotivo, oltre al cognitivo-verbale;  consente inoltre al docente di “tararsi” rapidamente sulle conoscenze e il vissuto dei partecipanti.

Successivamente, dopo una fase creativa che a seconda dei gruppi può essere più o meno lunga e produttiva, si passa all’esposizione degli argomenti del programma, confrontando quanto elaborato dal gruppo con i concetti teorici e metodologici previsti, in chiave di conferma o di rettifica e di integrazione di quanto il gruppo ha prodotto; tutto ciò viene vissuto bene a livello emotivo e stimola l’interesse per la scoperta e la ricerca personale.

  • L’attivazione del livello immaginativo ed emotivo richiede tempi abbastanza lunghi per produrre risultati apprezzabili, sia in termini di risultati concreti nella risoluzione dei problemi che in termini di sviluppo di relazioni interpersonali costruttive.

Ad esempio, nel lavoro con i gruppi di miglioramento, spesso si vedono risultati significativi solo dopo alcune settimane o mesi, quando - dopo una prima fase di aula dedicata all’illustrazione della metodologia - i partecipanti assumono ruoli concretamente operativi, mentre il docente si assume il ruolo prevalente di facilitatore del processo e di coach dei membri del gruppo.

Una formazione che voglia essere veramente efficace per l’azienda deve anche rispettare realmente gli individui; deve quindi fare appello al loro “progetto personale” e favorire le possibili convergenze tra questo e gli obiettivi aziendali, alimentando negli individui il seguente convincimento:

 

La mia attività professionale – parte integrante del mio progetto di vita -  si realizza “qui ed ora” in “questa” azienda, nella quale mi trovo - forse non per scelta - ma nella quale posso impegnarmi ad esprimere me stesso e le mie capacità, ed è qui ed ora che posso cercare di giocare al meglio le mie carte per la mia crescita umana e professionale; darò quindi il meglio di me con la mente e con il cuore e lascerò la mia impronta, a vantaggio mio e della organizzazione di cui faccio parte.
Sono consapevole che l’organizzazione si aspetta i miei contributi e li valorizza,  mi permette di esprimermi  e di sentire l’azienda anche un poco mia, per cui vale la pena di impegnarmi a fondo.

 

NOTE

(1) Dalla prefazione al volume “VALUTAZIONE E MOTIVAZIONE DELLE RISORSE UMANE NELLE ORGANIZZAZIONI” a cura di Laura Borgogni - Ed. Franco Angeli

(2) Dalla prefazione all’opera citata a cura di Laura Borgogni

(3) S. Ginger - LA GESTALT, terapia del “con-tatto” emotivo -Ed. Mediterranee- pag. 16

(4) S. Ginger - Opera citata, pag. 17

 

BIBLIOGRAFIA

S. Ginger - LA GESTALT, terapia del “con-tatto” emotivo - Ed. Mediterranee

L. Borgogni - VALUTAZIONE E MOTIVAZIONE DELLE RISORSE UMANE NELLE ORGANIZZAZIONI - Ed. Franco Angeli

D. Goleman  -  INTELLIGENZA EMOTIVA,  che cos’è, perché può renderci felici  -  Ed. Rizzoli

M. Reddy - IL COUNSELING AZIENDALE, il Manager come Counsellor - Ed. Sovera

S. R. Covey - THE SEVEN HABITS OF HIGHLY EFFECTIVE PEOPLE - Simon & Schuster, New York

S. R. Covey - PRINCIPLE CENTERED LEADERSHIP - Simon & Schuster, New York

M. D’Ambra - LE NUOVE TECNICHE DI COMUNICAZIONE - De Vecchi Editore

M. Simini – LA COMPRENSIONE RECIPROCA – Stare bene con sé stessi e con gli altri nel lavoro e negli affetti – Ed. Franco Angeli

J. K. Liss  -  LA COMUNICAZIONE ECOLOGICA  -  Ed. La Meridiana

P. M. Senge - THE FIFTH DISCIPLINE, the Art and Practice of the Learning Organization - Currency Doubleday, New York

 

D. Francescato, A. Putton - STARE MEGLIO INSIEME, Oltre l’individualismo: imparare a crescere e a collaborare con gli altri - Mondatori Editore

Maria Teresa Giannelli – COMUNICARE IN MODO ETICO – Un manuale per costruire relazioni efficaci – Raffaello Cortina Editore - 2006

M. Minghetti, - ALLA RICERCA DELLA PADRONANZA PERSONALE - Rivista HAMLET, bimestrale dell’AIDP, Associazione Italiana per la Direzione del Personale, N° 14, maggio 1999

Rivista FOR, Rivista per la Formazione, organo dell’AIF, Associazione Italiana Formatori, N° 38, gennaio- marzo 1999, numero dedicato alla Formazione fuori dall’Aula

Rivista FOR, Rivista per la Formazione, organo dell’AIF, Associazione Italiana Formatori, N° 70, gennaio-marzo 2007 – M. Serena Arcangeli – UNA RAGIONEVOLE FOLLIA – la creatività nella vita e nelle organizzazioni