Numero 28

Innovazione intelligenza insipienza

 

Prof.Ing.Roberto Vacca

 

PREFAZIONE   II edizione  -  2006 (vedi la Redazione Caos Management n°25)

 

INNOVAZIONE

15 - I MODELLI  STRUMENTI DI PREVISIONE - MA USIAMO ANCHE IL BUON SENSO 4 Gennaio 2004

Per capire il mondo e prevedere il futuro ci costruiamo modelli mentali. Quelli più semplici sono intuitivi. Cercano di spiegare fenomeni complicati mostrando che sono simili ad altri fenomeni più semplici e familiari. Ad esempio: spieghiamo che le onde elettromagnetiche si comportano in modo simile alle onde del mare. I modelli più sofisticati sono espressi in forma matematica. Ci permettono di calcolare per mezzo di formule che cosa accadrà a oggetti nel mondo fisico. La loro applicazione ci ha fatto capire e conoscere tante cose prima misteriose. Ad esempio: le equazioni algebriche di secondo grado descrivono le parabole descritte dai proiettili e altri oggetti lanciati in aria. Ma c'è il rischio che i modelli ci inducano a  spiegare la realtà in modi illusori.
I modelli quantitativi non consistono solo di tabelle e formule. Si fanno anche con immagini: anche le carte geografiche sono modelli. Ancora più elaborati sono i modelli costituiti da strutture elettromeccaniche o da programmi di computer, che obbediscono alle stesse leggi che governano un processo reale. Illustro qui i successi conseguiti con l'uso di modelli e invito alla cautela contro i rischi di utilizzarli male e confonderli con la realtà. Nessun modello è identico all'originale: Suarez Miranda (autore inventato da Borges, come il suo libro Viajes de varones prudentes) racconta di geografi che dell'impero costruirono una mappa tanto grande da coincidere con l'impero stesso. Poi videro che la mappa era inutile e l'abbandonarono alle intemperie (nei deserti se ne trovavano rimasugli abitati da animali o mendicanti).
Il cervello umano produce al suo interno immagini del mondo, ne nota regolarità, ne prevede sviluppi e, quindi, ne modifica alcune parti copiando in esse strutture che ha elaborato. Non sappiamo bene come funziona il processo per cui i sensi producono input e il cervello elabora (e talora distorce) la realtà.
"Tra le sicure maniere per conseguire la verità è l'anteporre le esperienze a qualsivoglia discorso, non essendo noi sicuri che in esso, almanco copertamente non sia contenuta la fallacia e non essendo probabile che una sensata esperienza sia contraria al vero". [G. Galilei, lettera a F. Liceti del 15 settembre 1640].
Il metodo classico della scienza si chiama ipotetico-deduttivo. Da conclusioni generali si formulano ipotesi, da cui si deducono previsioni che si controllano con nuove osservazioni. Le teorie si formalizzano in modelli semplificati (come quelli che considerano come punti materiali anche corpi di grandi dimensioni), che permettono di fare previsioni. Le teorie vengono poi confrontate con ulteriori esperimenti e tenute per buone finché non sono falsificate da nuove risultanze.
Taluno sostiene che le leggi di natura che crediamo di scoprire sono solo convenzioni sull'uso delle parole, modi utili di parlare del mondo. Secondo altri gli stessi fenomeni possono essere spiegati da teorie (e formule matematiche) molto diverse le une dalle altre. E' vero ma, in ogni caso, le teorie che continuiamo a usare devono permettere di prevedere i risultati di esperimenti od osservazioni future, almeno in certi intervalli di validità dei valori delle variabili. Un buon criterio induce a preferire teorie semplici ad altre più complicate.
Ma perfino i migliori modelli e teorie fisiche rappresentano solo approssimazioni della realtà più o meno rozze. Quanto rozze? Molte misure di grandezze fisiche raggiungono precisioni estremamente spinte. In molte applicazioni tecniche, invece, bastano approssimazioni dell'uno per mille. In campo socio-economico le fonti sono disparate e affette da errori notevoli e i modelli sono più rozzi. In ogni caso, è vitale la qualità dei dati. Se è alta, le previsioni possono essere accurate. Se è bassa saremo tratti in inganni notevoli. Non basta usare formule matematiche per pretendere di avere eseguito analisi scientifiche credibili. Il riscontro con la realtà va sempre fatto (come diceva, appunto, Galileo) e bisogna continuare a usare il buon senso. Ogni volta che una teoria suggerisce conclusioni che paiono assurde, faremo bene a essere sospettosi. Le assurdità apparenti sono ammissibili solo in settori scientifici particolari (come l'elettrodinamica quantistica).
Negli anni '60 il professor Jay Forrester del MIT ideò modelli basati sulla dinamica dei sistemi e li applicò alla gestione di aziende e di città. L'applicazione alle variabili demografiche, economiche, fisiche e industriali dell'intero pianeta, costituì lo studio sui Limiti dello Sviluppo presentato nel 1971 al Club di Roma, che tentava di calcolare l'avvenire socio-economico mondiale. Usava poche variabili (inserite in 150 equazioni): popolazione, terreni coltivabili, risorse naturali, investimenti, produzione industriale e agricola, inquinamento, qualità della vita. Conteneva variabili che sono livelli (ad es.: investimenti nell'industria) e altre costituite da flussi (ad es.: produzione industriale). Ogni flusso è influenzato da vari livelli e ogni livello da vari flussi. Le equazioni che governano le variabili si arguiscono analizzandone le variazioni in funzione di altre variabili. Si determinano, così, in modo empirico i coefficienti delle equazioni che costituiscono il modello. Lo studio concludeva che entro pochi decenni si sarebbero esaurite risorse naturali essenziali o sarebbero mancati gli alimenti (data la sovrapopolazione) o si sarebbe accorciata la vita umana per l'inquinamento. I fatti non stanno confermando quelle previsioni. Queste procedure empiriche, infatti, possono condurre a previsioni divergenti anche se le equazioni si adattano bene ai dati storici.
Un errore ripetuto spesso da studiosi della dinamica dei sistemi è quello di dar peso maggiore a variabili soft (soffici, intuitive) che a quelle hard (quantitative e misurate). Nel 1996 Jim Hines (del MIT) scriveva di preferire "i modelli che spiegano come le cose interagiscano a quelli che predicono valori futuri". Poi diceva: "l'informazione sulle strutture risiede per la massima parte nelle teste dei manager, meno nei loro scritti, in misura insignificante nelle serie storiche"! Secondo me sono affermazioni strampalate: certi manager capiscono e prevedono, altri proprio no. Le serie storiche che registrano dati statistici affidabili, sono l'unica base di cui disponiamo per prevedere l'avvenire di grandi sistemi.
Infine sono particolarmente perversi i trasferimenti interdisciplinari  indebiti. Citano a sproposito i processi caotici alcuni studiosi di dinamica dei sistemi come George Backus del Policy Assessment Corporation di Denver, Colorado:
"Se un modello basato sulla dinamica dei sistemi fornisce soluzioni disperse e irregolari, questo è uno dei risultati più ricchi di informazione che possiamo ottenere. Ci può indicare se siano presenti fenomeni caotici e che influenza abbiano sul comportamento del sistema".
Il concetto è errato: per riconoscere il caos dal rumore in fenomeni fisici, occorrono centinaia di migliaia di valori misurati non una serie storica di poche centinaia di valori osservati.
Ma qui andiamo troppo sul tecnico. Ricordiamoci solo di rifuggire dalle semplificazioni eccessive e dalle generalizzazioni indebite.

 

INTELLIGENZA

4 - I NUMERI - AIUTANO OD OPPRIMONO?  - 18/1/2001

Durante la II Guerra Mondiale potevi contrapporre Asse e Alleati e già parlavi di politica. Oggi parli di guerra in Serbia e hai subito bisogno di riflettere su cose più complicate. Fra queste: i danni eventuali riportati da soldati NATO per l'uso di proiettili con uranio impoverito. Alcuni di noi sanno a memoria che il 99.7% dell'uranio naturale è U238 e lo 0,7% è U235 radioattivo. Si arricchisce fino a contenere il 3% di U235 e si usa nelle centrali. Se si arricchisce al 92% ci si fanno bombe atomiche. Resta l'uranio impoverito che contiene meno dello 0,7% di U235, ma è molto pesante e ci si fanno proiettili. Pare che quando scoppiano l'U235 residuo produce fallout pericoloso. Poi viene fuori l'U236. Lo cerco su Internet e trovo notizie su un U-boot tedesco: semplice omonimia. Cerco ancora e imparo che U236 è un altro isotopo radioattivo artificiale prodotto per bombardamento di neutroni sull'U235.

Il mondo intorno a noi contiene numeri crescenti di oggetti, strutture, fenomeni, processi. Dobbiamo nominarli e le parole non bastano più. Ascoltiamo un imprenditore e un consigliere che nominano di continuo la 142: non è una divisione militare, nè una strada di New York. E' la legge del '90 sulle autonomie locali. Poi parlano del 175 che non è un'auto AlfaRomeo, ma il decreto sui rischi di incidenti rilevanti.

Quei numeri, in effetti, sono nomi. Poi abbiamo i numeri che sono chiavi: PIN di bancomat e cellulare, password dell'E-mail, codici fiscali, numeri telefonici fissi e mobili. Infine abbiamo i numeri che sono misure. Queste sono standardizzate e ci aiutano a capire di che si parla solo se conosciamo le unità. Le cose vanno male: da oltre 20 anni vige in Italia il Sistema Internazionale (SI) - che viene ignorato anche da grandi aziende e ministeri. Scrivono "mld" per miliardi e "mio" per milioni, mentre lo standard è rispettivamente GL (Gigalire) e ML (Megalire).

Per capire bene dovremmo anche apprezzare gli ordini di grandezza implicati. Tutti sanno che di pane se ne compra qualche kilo. Pochi sanno quanti Ampere assorbe l'impianto di casa o quanti kiloWatt sviluppa il motore dell'auto in pianura a 70 km/h. Peggio se si parla di unità meno usuali. Quasi tutti gli ingegneri sanno che i GHz sono Gigaherz, ma molte persone colte dimenticano che UMTS è il Sistema Universale di Telefonia Mobile. Gli acronimi invadono la nostra vita e la nostra memoria quanto i numeri. Dicevamo "liquidazione": ora è usuale dire TFR (Trattamento di Fine Rapporto). Dipende dal tuo lavoro e dai tuoi interessi se sai che PVS in inglese si dice LDC (Paesi in Via di Sviluppo = Less Developed Countries) e PMI si traduce SME (Piccole e Medie Industrie = Small Medium Enterprises). Ogni settore usa centinaia di sigle che vengono elencate in tabelle nei libri e nei manuali.  Chi ha la memoria meno esercitata, si trova male: talora sperduto e ammutolito. E che rimedio c'è a questo stress?

L'unico radicale è quello di fare l'eremita o il Robinson Crusoe in mezzo alla campagna: soluzione scomoda. Se invece vuoi funzionare in un mondo complesso, devi imparare i nomi di quegli elementi che costituiscono la complessità e dei quali ti occupi per forza o per scelta. Se non ci riesci, devi fermarti a uno stadio di sviluppo (lavorativo o sociale) meno avanzato di altri. Oppure puoi esercitarti: Attacca allo specchio tabelle di acronimi, liste di unità di misura, numeri di decreti, liste di popolazioni e PIL di vari Paesi, pesi specifici, potenze di motori, composizioni chimiche, numeri atomici - a seconda dei tuoi interessi. Se le leggi ogni giorno, ti familiarizzi presto con modi di espressione che finora ti erano alieni. Poi potrai sfoggiare questa conoscenza o quanto meno non sentirti escluso quando parlano gli esperti.

Altre formule da imparare, oltre quelle matematiche, sono i codici per i programmi di computer. Certi fabbricanti e fornitori cercano di darti a intendere che ne puoi fare a meno: clicca sulle icone e userai il computer come un esperto. Non è proprio così: se vuoi usarlo per compiti un po' elaborati, farai bene a imparare linguaggi di programmazione. Con un certo impegno chiunque riesce a impararli anche se non sono costruiti in modo mnemonico. Io ad esempio ricordo ancora i codici del linguaggio macchina di un computer con cui lavoravo 45 anni fa - ma non faccio testo perchè ho una memoria come una pattumiera che non viene mai vuotata.

 

INSIPIENZA

4 - IDEE ERRATE SULL’AVVENIRE TECNOLOGICO - 21/11/2000

Ritengo doveroso combattere certe interpretazioni correnti delle tendenze attuali nei processi socioeconomici e industriali, basate su intuizioni sfocate e su registrazioni di eventi lacunose. Taluno sostiene che l’era dei computer – dopo trent’anni – e’ finita. Sostiene, poi, il principio che comunicare e’ più importante che calcolare.
Secondo questa visione la comunicazione istantanea, illimitata, “favorita da una larghezza di banda ormai infinita”, avrebbe ogni sorta di benefici risultati. Servirebbe a fornire servizi migliori ai cittadini e a migliorare la competitività delle aziende. Interagirebbe con la globalizzazione dei mercati. Innalzerebbe la mobilità delle merci, delle persone, dei capitali e delle informazioni. La comunicazione telematica produrrebbe miglioramenti automatici in ogni settore: scuola, aziende, amministrazioni pubbliche. Permetterebbe, infine, a ogni essere umano di comunicare qualsiasi quantità di informazione a ogni altro essere umano ovunque si trovi sul pianeta. Questa idillica situazione e’ vista come una trasfigurazione.

Abbiamo davanti, dunque, una tarda manifestazione  del fuorviante pensiero di McLuhan, secondo il quale “Il mezzo è il messaggio” – cioè: il fatto che trasmetto un testo o una serie di immagini per televisione e; gia’ rilevante in se’ – quali che siano le cose che scrivo o le idee (o l’assenza di idee) che cerco di veicolare. Questa tesi e’ ovviamente falsa. Per iscritto o per telefono o per radio o per Internet posso trasmettere informazioni vere o false, significative o irrilevanti, civili o barbare, utili o dannose. E’ qui che si gioca l’avvenire della scuola, dell’industria e della società – sui contenuti.

I computer si dovrebbero chiamare in italiano “elaboratori” e servono a scrivere, a calcolare, ma soprattutto a elaborare. Prima di comunicare dovremmo aver elaborato i dati : controllato che siano giusti, interpretato che storie raccontano. Dovremmo aver ragionato sulle conclusioni da trarre e, infine, avremmo dovuto esprimerli in forma compiuta, comprensibile alle persone alle quali ci dirigiamo, e avremmo dovuto tradurli in formati standard leggibili dal nostro target.

Dunque l’innovazione interessante per fini più vasti, si basa, certo, sulle possibilità di comunicazione moderne – e mai viste prima. Ma la strada non è quella di facilitare l’accesso alle reti a chiunque voglia “aprire bocca e dare fiato” o a chiunque voglia “pestare quasi a caso sui simboli di una tastiera". Dovremmo mirare a sfruttare reti di comunicazione ed elaboratori elettronici velocissimi anzitutto per diffondere conoscenza del mondo fisico e di quello artificiale costruito dall’uomo e, poi, per migliorare la capacita’ degli esseri umani a capire bene le potenzialità di questi strumenti. Servono non solo a fare giochetti a guardare immagini precotte e a scrivere quel che ci salta in mente all’improvviso. Servono anche a elaborare simboli, a ordinare i dati che troviamo direttamente e indirettamente e i nostri pensieri su di essi. Servono a registrare spiegazioni formalizzate e descrizioni informali. Servono a tenere contabilità e a fare calcoli semplici  e complessi. Se ne sappiamo abbastanza e se ragioniamo bene, servono a pianificare, a progettare, a gestire attività private e pubbliche, sociali e aziendali.

Non ha senso, dunque, tentare di attribuire valori relativi ai mezzi per comunicare e a quelli per elaborare. Sono tutti strumenti – sempre piu’ efficaci – per fare cose prima impossibili e per fare in modo più rapido ed efficace, cose che si facevano anche prima. E qui il criterio non cambia: chi studia di più, chi ha accesso a esempi migliori, chi impara a ragionare in modo più sensato e aderente alla realtà avrà poi da trasmettere messaggi più rilevanti, più edificanti, meglio atti a sortire risultati positivi in tutti i settori.

  Taluno ha tentato di insegnarci che “l’era dei computer deriva dalla teoria dei quanti” (falso: deriva dalla matematica di Boole, dalle idee di Babbage e dalla logica di Shannon e – dopo – dall’elettronica) o che “l’informazione di per sè è statica” (lo è se registrata su di un supporto e diventa dinamica se viene letta e ritrasmessa). Non ci aiuta a capire le tendenze attuali e le occasioni meravigliose che ci si presentano, chi ci proponga ragionamenti involuti conditi con frasi roboanti o prive di senso come queste.
Ricordiamo che il WorldWideWeb , per fortuna, è scevro da censure. Quindi ci si trovano cose volatili, inutili, volgari e sporche – insieme a idee illuminanti, teorie ben fondate, spiegazioni autorevoli, notizie rilevanti. Ci vogliono saldi criteri di giudizio per distinguere le prime cose dalle seconde. Per formarceli gli strumenti telematici sono utilissimi – ma le cose più importanti sono quelle che accadono dentro le nostre teste.

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