Numero 28

Le “malefatte” dell’Out-door training.

 


di Alessandro Iori

 

Premesso che non ho niente di personale nei confronti del cosiddetto out-door training, né tantomeno in chi lo pratica o lo vende, questo articolo vuol essere solo un pensiero affettuoso, e sintetico, rivolto a tutti quei partecipanti che lo hanno “subìto” nelle più svariate forme.

Già “subìto” è esattamente il termine usato da quelli che, per svariati motivi, non ne hanno apprezzato la “metafora”.

Non è piacevole, infatti, passare due giorni in barca a vela quando si soffre di mal di mare, si ama la montagna e non si sa nuotare, per di più nel week-end in cui gioca la squadra del cuore.
Non è piacevole attraversare un ponte tibetano con i tacchi a spillo, né salire su un palo a trenta metri, anche se ben legati, se si soffre di vertigini.

Non è piacevole fare i giochi di guerra quando si è obiettori di coscienza, né necessariamente piace doversi orientare in un bosco, passeggiare, meditare, lanciarsi da un ponte con le gambe legate agli elastici.

Non è gratificante per tutti l’essere riusciti a camminare sul fuoco o l’aver affrontato le rapide di un fiume in piena.

Insomma, alla luce di tante testimonianze raccolte da miei corsisti negli anni in qualità di “vecchio” formatore d’aula, la risultanza preponderante alla domanda: “Che ne pensi dell’outdoor?” è stata: “C’è a chi piace!” spesso con una nota di scetticismo nella voce.
Ciò non toglie che molti ne parlano, invece, con grande enfasi, anche se i più dichiarano di averne compreso il significato solo nel debriefing successivo (in aula n.d.a.).
Eppure la gente va in palestra, ama i film d’azione, fa footing, va in bicicletta, tiene alla linea.
Sembrerebbe che in una società piena di “gente d’azione” l’ action learning non sia poi altrettanto amato.
Ma non basta, molti vanno in vacanza nei villaggi turistici, seguono gli animatori, si divertono in gruppo, ma, trasferita nella formazione, l’animazione sembra non essere sempre più così apprezzata.

Ma cosa ne pensano gli “addetti ai lavori”?
Ovviamente ci credono al punto da affermare: “ Tra briefing e debriefing si è avuta la  piena percezione del cambiamento in atto. I partecipanti hanno espresso grande soddisfazione per l’essersi messi in gioco ed aver potuto dimostrare a loro stessi ed ai colleghi capacità indimostrabili all’interno del contesto aziendale. L’incremento dell’ascolto attivo e della condivisione, le capacità di problem solving individuali e di gruppo, i risultati in termini di team building e team developing, hanno ampiamente evidenziato la valenza di questa modalità formativa, che unisce agli ovvi aspetti motivazionali anche profondi significati umani e professionali. Il gruppo torna in azienda finalmente capace di superare le sfide proposte continuamente dal mercato”.

E le aziende?
Beh, loro ci credono (almeno stando alla massa d’investimenti formativi nel settore), ritengono che i loro Manager tornino motivati, capaci, cambiati in meglio, da simili toccanti esperienze.
Già perché sembrerebbe che il “fuori aula” sia come il “fuori porta”, un avvenimento gradevole, stimolante, capace di produrre migliorie significative nello stato d’animo delle cosiddette “risorse umane”.

Una “nota” di una “nota” multinazionale recita: “L’out-door aziendale è un grande momento di aggregazione, di presa di coscienza, che stimola le persone ad acquisire consapevolezza di sé, del proprio potenziale umano e professionale. E’, insieme, socializzazione e confronto che consente ai gruppi di sperimentarsi in contesti diversi dal banale luogo di lavoro ed esprimere al pieno potenzialità sopite dal “tran tran” della quotidiana ripetitività operativa. Stimola creatività e senso di appartenenza, esalta la comunicazione, crea memoria storica e senso di vittoria diffuso. I manager tornano a casa con la coscienza di aver vissuto qualcosa di veramente speciale in un luogo che, anche se luogo di lavoro non è,  ad esso è metaforicamente assimilabile. L’esperienza del diverso contesto diventa così coniugabile, per i singoli e per il gruppo, con quella aziendale, promettendo interessanti risultati per il clima e la vivibilità dell’azienda stessa”.

Meglio di così!

Una sola riflessione finale, scusate l’ignoranza, ma che vuol dire?
Ah, dimenticavo che, in tempi non sospetti, proprio io scrissi che: Ogni parola ha un suo preciso significato, eppure capita che si usino spesso parole senza significato alcuno.