Numero 32 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Quando la Community si fa pratica
Scotti E., Sica R. (2007) Community Management. Processi informali, social networking e tecnologie Web 2.0 per la gestione della conoscenza nelle organizzazioni, Apogeo, Milano.

di Vincenzo Cammarata
Autore di “Wikibility of Innovation Oriented Workplaces - The CERN Case” tesi sull’Enterprise 2.0 finalizzato all’innovazione e sui suoi risvolti culturali organizzativi con cui ha recentemente conseguito il MSc in Communication and Economic Sciences (Major in Corporate Communication) presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano.

 

“Le Comunità di Pratica sono gruppi
che condividono una passione su qualcosa
che fanno e che interagiscono regolarmente
per imparare a farlo meglio”


Etienne Wenger

 

Conoscere, comprendere e promuovere un nuovo modo di usare il Web nelle organizzazioni parlando di passioni, interessi e obiettivi condivisi.

Agile, scorrevole e soprattutto utile. Così si può definire il volume scritto da Emanuele Scotti e da Rosario Sica, recentemente pubblicato da Apogeo e che affronta con chiarezza divulgativa, nella prima parte, e con particolare profondità di contenuti – grazie alla presenza di sette “conversazioni” e di tre casi di studio – il tema delle Comunità di Pratica.

uuFin dalla prefazione, a cura del Prof. Giorgio De Michelis (Università di Milano Bicocca), si inizia a prendere confidenza col concetto di comunità, intesa come realtà antropologica parallela e, a volte, contrapposta a quella “organizzata” e gerarchizzata delle istituzioni di cui la società ha bisogno per regolarsi e così “funzionare”.

La riscoperta della comunità quale motore creativo, assume invece oggi, un ruolo di primaria importanza per le organizzazioni che trovano ormai solo nell’innovazione l’unico parametro di differenziazione per raggiungere un apprezzabile vantaggio competitivo e per continuare a creare valore per l’intero ecosistema orbitante intorno ad esse.

Seguendo il percorso tracciato dagli autori, si parte con l’osservazione dal fattore scatenante di questa “rivalutazione” del concetto di comunità: il Web. Nella sua ultima versione, quella “2.0”.

Più che di una innovazione tecnologica – se parlate con un informatico vi dirà quasi certamente che non c’è niente di nuovo sotto il sole – si tratta di un nuovo modo di utilizzare la Rete, che aprendo alle masse la possibilità di creare contenuti (UGC – Usuer Generated Content) ha favorito e accelerato maggiormente il naturale processo di aggregazione che si attua quando persone con gli stessi interessi si riconoscono come tali. Come dice Ross Mayfield (Socialtext) si è passati dal Web “sostantivo”, cioè come qualcosa di statico prestabilito da altri, dall’alto, ad un Web dinamico, un Web “verbo”, dove tutti hanno la possibilità di agire.

Fra i primi a capire le possibilità offerte dai nuovi tool emergenti, ci sono state anche alcune realtà italiane, che al fianco di casi internazionali – presentati nella prima parte del testo (Lego Mindstorm) – hanno saputo sfruttare il potere delle community e soprattutto hanno saputo conversare con esse sperimentando nuove tecniche di digital marketing.

È il caso di Fiat con www.quellichebravo.it o con il sito di lancio della nuova Fiat 500 con cui è riuscita ha far partecipare attivamente il proprio pubblico attivando con esso un dialogo costruttivo e “trasparente” che ha accompagnato e supportato con successo il riposizionamento del brand torinese.

Si introduce quindi il concetto di conversazione, che esprime bene le nuove modalità di comunicazione che le organizzazioni stanno iniziando ad attuare all’esterno, verso l’intero ecosistema organizzativo e, quindi, anche verso l’interno. Questo nuovo modo di relazionarsi all’interno delle realtà aziendali sta contribuendo a modificare profondamente la cultura organizzativa. Ad esempio, il lavoro che una volta era di tipo cooperativo (inteso come “assemblaggio” di lavoro individuale) diventa collaborativo cioè frutto del contributo di tutti lungo l’intero processo e la stessa gestione della conoscenza (Knowledge Management) si evolve sfruttando il carattere “conversazionale” e flessibile della comunità.

Inoltre, sfruttando l’intelligenza distribuita propria delle comunità di pratica, l’intera organizzazione riesce a far emergere dal basso ed in maniera informale tutta la conoscenza, sia essa implicita o tacita, rendendola riconoscibile, formalizzata e quindi esplicita per l’intera comunità. In questo modo anche la formazione diventa un elemento sempre presente e costante, perché ciascun membro della community ha la possibilità di apprendere dalle esperienze e dalle conoscenze degli altri partecipanti e non solamente se coinvolto dall’organizzazione in specifiche occasioni (comunità di apprendimento o di circostanza).

Se il Social Networking assume una connotazione individuale e personale, rappresentando in un certo senso la tela sul quale il singolo si rapporta agli altri membri della comunità, la comunità di pratica, in particolare, si sviluppa tenendo conto degli interessi e delle passioni (Dominio), della qualità dei rapporti e della fiducia che in questo modo si viene a consolidare fra i vari membri (Comunità) e delle competenze professionali, del know-how (Pratica) che in essa sono presenti.

Così facendo, è possibile avviare un vero e proprio processo di “capitalizzazione” totale delle risorse e delle intelligenze presenti all’interno della comunità che, come vedremo più avanti, andrà coltivato da chi gestisce la community.

A questo punto Scotti e Sica introducono – con un livello di profondità argomentativa tale da catturare l’attenzione del lettore più esperto e fargli venire voglia di approfondire ulteriormente l’argomento – come avviare e coltivare una community.

Dopo aver spiegato il peering, informalità verso la quale una community è naturalmente orientata, differenziandosi in questo modo dalla attività di pushing svolta dall’organizzazione con i più tradizionali portali aziendali, il lettore può seguire tutte le varie fasi dell’intervento.

Nella fase di analisi, particolare importanza assume la SNA, ovvero alla Social Network Analysis: gli autori, tramite una conversazione con Carlo Mazzucchelli (Complexlab), illustrano diversi strumenti in grado di individuare, monitorare ed analizzare, attraverso dati statistici, i membri più attivi e centrali della rete sociale così come quelli più periferici e l’intensità dei legami che intercorrono fra essi.

Parallelamente a questa fase di analisi, che prevede anche una verifica tecnologica della struttura IT che ospiterà l’ambiente Web della comunità, viene costituito un Comitato Guida che coinvolga attivamente la Committenza così da legittimare l’intervento e rafforzare a tutti i livelli il commitment al progetto.

La fase di progettazione è quella che tocca il maggior numero di attori: al management (legittimazione e commitment) si affiancano alcuni membri attivi della community (il core team), gruppo di entusiasti e di trascinatori che rappresentano il nocciolo duro della comunità che, grazie ad attività di gruppo (Focus Group), incomincia ad autodefinirsi sotto la guida della consulenza.

Accanto al Comitato Guida, già citato, gli autori descrivono il ruolo di altre figure chiave indispensabili per il buon esito dell’intervento: il Responsabile del Progetto, la Redazione, i Coordinatori e gli Esperti.

Naturalmente nel progettare occorre tener conto del ciclo di vita che una community, essendo “umana”, segue e di alcuni principi che ne delimitano il processo (progettare per l’evoluzione, apertura di un dialogo tra prospettive interne ed esterne, differenti livelli di partecipazione…).

Wiki, Blog, Folksonomy, RSS affiancano così le più tradizionali News e tutti gli altri servizi che consentono il funzionamento e lo sviluppo della community supportando non solo le attività di socializzazione/comunicazione ma anche le necessità collaborative ed organizzative dell’intera comunità di pratica. In questo gli autori forniscono la descrizione dettagliata di ogni singolo strumento, fornendo preziose idee e spunti di riflessione per chi a questo punto della lettura starà già immaginandosi come potrebbe così cambiare la propria realtà lavorativa.

Infine, lancio e gestione sono le fasi che richiedono un particolare approccio strategico perché è da come viene presentato il progetto alla totalità dei membri della comunità e dall’entusiasmo che si riesce a generare per l’iniziativa che dipende gran parte del successo della neonata community. Per far sì che questo accada, vengono quindi usati meccanismi propri del marketing (marketing virale, passaparola, teasing…) che integrati e veicolati strategicamente sugli stessi canali comunemente usati, spesso informalmente, dai membri della comunità (SMS, mail…) daranno vita ad una vera e propria campagna di comunicazione interna.

Ed è proprio per comprendere meglio come coltivare e far crescere rigogliosa e in salute una comunità di pratica che gli autori hanno voluto condividere con il loro pubblico tre casi di studio (CoreConsulting) emblematici: due aziendali (BTicino – Vodafone Italia) e uno in ambito P.A. (Comune di Venezia).

Fra i tre casi presentati, molto dettagliati ed esemplificativi appaiono soprattutto quello della Community FTC (Funzionari Tecnici Commerciali) BTicino, e quello delle due community (Welfare e Affari Istituzionali) promosse dal Servizio Formazione del Comune di Venezia, tutti nati grazie all’opportunità di sfruttare un processo di change management in corso nelle due realtà.

Ad incrementare l’elevato valore che queste due esperienze restituiscono al lettore, si aggiungono le testimonianze date dai due clienti (Ing. Franco Villani, Direttore Commerciale BTicino ed Anna Malaguti, responsabile della formazione del Comune di Venezia) che dimostrano quanto sia importante e decisivo il ruolo della Committenza e fanno riflettere su come realtà “informali” quali le comunità di pratica si relazionino e possano co-esistere con ambienti organizzativi ben strutturati e gerarchizzati, tema al centro di un interessante e stimolante dibattito che ha accompagnato la presentazione milanese del volume lo scorso dicembre* .

A completare il tutto, Scotti e Sica offrono, sottoforma di “allegati”, alcuni strumenti utili e già sperimentati nei casi precedentemente illustrati: questionario di assessment organizzativo, piano di comunicazione interna (per la fase di lancio e di gestione), vademecum sulle comunità di pratica, guida per il coordinatore di comunità di pratica.

Tutto questo fa di Community Management un illuminante manuale che certamente contribuisce ad evangelizzare e a sensibilizzare gli appartenenti al mondo accademico, istituzionale e imprenditoriale su un tema, quello delle comunità di pratica, che contribuirebbe a far evolvere in innovazione la creatività – paradossalmente proprio quella individuale – risorsa preziosa di cui il nostro Paese è ricco.

*Tavola rotonda sul tema: "L'organizzazione informale è più efficiente di quella gerarchica?" Intervenuti: Luca de Biase (Nova/IlSole24ore), Giuseppe Scaratti (Università Cattolica), Franco Villani (Direttore commerciale BTicino), Marco Vergeat (AD Isvor Fiat), Emanuele Quintarelli (socialenterprise.it). Intervengono nel dibattito anche: Roberto Bellini (AICA), Davide Biolghini (consulente), Giuseppe Braga (consulente), Antonio Fossati (consulente), Francesco Robiglio (manager). 5, Dicembre 2007 - SIAM 1838, via Santa Marta, 18 - Milano