Numero 32 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

ERIK EL BELGA, DA LADRO A MECENATE
Cronaca di un ravvedimento annunciato
Il piú famigerato ladro e trafficante di opere d’arte d’Europa del ventesimo secolo, obbedendo ad una specie di crisi mistica, ha donato la sua collezione di falsi d’autore ad un piccolo municipio dell’Andalusia.

di Giulio Rosi

 

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A vederlo tranquillamente seduto al sole, con i capelli ed i baffi candidi ben curati, mentre aspira lunghe boccate di fumo sorseggiando un caffé sul lungomare di Malaga come un qualsiasi pensionato, non si direbbe che quest’uomo, precocemente invecchiato, sia stato uno dei più famigerati ladri di opere d’arte del ventesimo secolo, accusato di aver depredato migliaia di preziose opere d’arte da collezioni private e dalle chiese di mezza Europa. Ma anche di aver svolto - grazie agli studi svolti presso la Scuola di Belle Arti di Bruxelles - una proficua attività di falsificazione di quadri d’autore di ogni epoca e stile. Agiva sempre su scala internazionale. Solo in Spagna, dal 1977 al 1982 commise oltre 60 furti appropriandosi di almeno 6000 pezzi pregiati del patrimonio storico nazionale. Il tutto avveniva dietro la facciata di una spregiudicata attività di antiquario e di mercante di pezzi d’arte sacra, che quest’uomo acquistava legalmente per pochi spiccioli da preti e sacrestani compiacenti. All’età di 65 anni, affetto da una serie di acciacchi che ne hanno fiaccato lo spirito ribelle, René Alphonse van der Berghe - con alle spalle un bilancio di sette matrimoni e sei figli tutti nati da madri diverse - cerca di ridimensionare quel passato scomodo che lo fece conoscere in tutta Europa col nome di Erik el Belga.

La sua é una storia di colpa e di ravvedimento. Il primo arresto avviene nel natìo Belgio nel 1965. Un astuto poliziotto, fingendosi un cliente, lo ammanetta al momento della transazione. Il tribunale lo condanna, ma approfittando di un permesso il belga si dà alla latitanza. Successivamente costituisce una banda formata da alcuni mercenari, ex militari. Malviventi freddi, che non useranno mai la violenza, assieme ai quali Erik compie una lunga serie di colpi, scatenando in vari Paesi una vera e propria caccia all’uomo. Nel 1975 approda nella Spagna ancora franchista, contando di passare inosservato grazie all’isolamento politico che in quel momento vive il Paese. Quindi riannoda i legami col mercato d’arte clandestino e riprende le sue molteplici attività. Nel 1982, all’età di 42 anni, viene arrestato dalla polizia di Barcellona e dopo 37 mesi di carcere preventivo viene condannato a sette anni di libertà vigilata. Durante le sue vicende giudiziarie viene difeso da una brillante penalista spagnola, che poi diventa la sua settima ed ultima moglie della serie. Accanto a lei decide di cambiare vita.

Dopo un lungo periodo di esistenza regolare, che ne ha decantato le malefatte trasformandolo in un esperto consulente d’arte, Erik el Belga, in preda ad una specie di crisi esistenziale, da diverso tempo si dedica esclusivamente a dipingere soggetti sacri che regala ad enti religiosi e istituzioni pubbliche. L’ineffabile personaggio, che sembra uscito dalla fantasia di Victor Hugo, afferma di aver aiutato a recuperare migliaia di opere d’arte e, molte volte, di averle addirittura riacquistate di tasca propria per restituirle ai luoghi di origine. Convertitosi in una specie di mecenate, recentemente è apparso sulla cronaca per aver regalato parte della sua collezione di quadri al Comune di Cúllar, un piccolo centro turistico della provincia di Granada. La storia comincia qualche anno fa, quando Erik el Belga , avendo appreso del furto di una preziosa tavola raffigurante la “Virgen de la Cabeza” dal santuario di Cúllar, dopo averne tentato inutilmente il recupero presso i collezionisti di sua conoscenza,avvalendosi delle proprie capacità di falsificatore e di una foto del quadro, ne realizza una copia perfetta per offrirla in dono alla popolazione di quella località.

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L’iniziativa viene molto apprezzata ed il sindaco di Cúllar, José Miguel Martinez Rodiguez, ne approfitta per trasformare un salone del municipio in un museo per i “falsi d’autore” di Erik el Belga. Con l’occasione è stata lanciata l’idea di valorizzare il ruolo dei falsi d’autore, sostituendo alcuni autentici capolavori esposti nei musei e nelle chiese con delle copie ben fatte. La proposta – anche se soltanto provocatoria - ha toccato un tasto doloroso. Negli ultimi anni in tutto il mondo sono stati rubati pìú di 500 quadri firmati Picasso, 300 quadri firmati Dalì, 178 firmati Rembrandt e 371 firmati Duhrer. Ma la lista potrebbe continuare. Una loro facile collocazione presso musei o collezioni private appare improbabile. Che fine hanno fatto, allora? “In molti casi – sostiene Erik - chi ruba viene attratto dal valore nominale della refurtiva, che ovviamente non è il valore reale, cioè zero se non si ha già il compratore”. Meno di dieci anni fa, a Madrid, una banda perfettamente organizzata, eludendo il sistema d’allarme della villa della miliardaria Esther Koplowitz, rubó una ventina di opere di incalcolabile valore, fra cui il famoso “El columpio” del Goya. Nel giro di qualche mese la polizia rinvenne quasi tutto il bottino abbandonato in una discarica. Fra le varie ipotesi spuntò quella di una banda estranea al mondo dell’ arte.“Collocare sul mercato clandestino un quadro dopo che è stato rubato è praticamente impossibile – spiega l’ex trafficante inoltre il furto deve essere compiuto senza spargimento di sangue, altrimenti la refurtiva diventa “moralmente” macchiata e non la vuole più nessuno”. Questo tipo di crimine, insomma, è dominato da una forte componente maniacale che supera perfino quella economica. “Il fatto è afferma il belga - che molti collezionisti farebbero pazzie per appendere in casa delle tele celebri, anche se, un volta ottenuta la refurtiva, sono costretti a conservarla in luoghi chiusi, scantinati o magazzini per timore di essere scoperti”. Un modo patologico ed egoista di conservare i capolavori, che comunque muove un enorme giro d’affari, lubrificato dalla scarsa sorveglianza presente nella maggior parte dei musei e delle chiese

Erik el Belga ci spiega i risvolti psicologici di chi commissiona un furto. “Le opere rubate – afferma - quando si trovano in un nascondiglio sconosciuto, acquistano un fascino magnetico, malizioso, inquietante e perfino eccitante, perchè suscitano una tensione ambigua che non avevano negli austeri saloni delle pinacoteche”. Ma un’opera d’arte, come sosteneva Benedetto Croce, se rimane chiusa in un cassetto è come se non esistesse. La sua vita comincia quando qualcuno l’apprezza. Pertanto la mancanza di una condivisione non soddisfa l’ambizione dei collezionisti clandestini. “A volte - sottolinea Erik el Belga - costoro non resistono alla tentazione di far partecipare qualche persona all’ammirazione dellatela rubata,ma questa imprudente vanità puó costargli cara. Ecco perchè quasi sempre tele scompaiono nel nulla”. Un sorte del genere, per esempio, avrebbe potuto essere toccata anche alla celebre tela di Edward Munch, intitolata “L’urlo”, rubata dal Museo di Oslo e poi recuperata dalla polizia.

"L'opera - spiega l'ex falsario, dimostrando di conoscere bene certi sentimenti - è un simbolo dell'angoscia e dello smarrimento che segnano tutta la vita del pittore norvegese. La scena rappresenta un'esperienza vera della vita dell'artista, che mentre si trovava a passeggiare con degli amici su un ponte della cittadina di Nordstrand, sentì l'animo pervaso dal terrore". Così, infatti, descrive la scena lo stesso Munch con alcune righe scritte sul suo diario mentre era malato a Nizza: camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad un recinto. Sul fiordo neroazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.

E sono in molti, vista l’impossibilità di collocarla sul mercato, quelli che ancora si chiedono chi poteva averne commissionato il furto. “Probabilmente qualcuno che voleva appropriarsi del messaggio di disperazione che scaturisce dalla orribile creatura raffigurata sulla tela”, sostiene Erik el Belga, che di quella tela realizzò almeno una decina di falsi subendone e assimilandone il fascino sinistro.Presso il Museo Criminale della Scuola di Polizia di Ávila, infatti,è esposto uno strano autoritratto dipinto da Erik quando stava nel carcere di Barcellona, che ricorda il quadro di Munch. L’opera,classificata come appartenente all’espressionismo tenebroso, venne donata da Erik el Belga al commissario di polizia, Felix A.Conde Martinez, lo stesso che ventitré anni fa operò il suo arresto aprendogli la strada del recupero sociale. Il quadro rappresenta una figura macabra e vagamente deforme - una specie di zombi con il braccio scheletrito ed una smorfia grottesca sul volto - la quale sembra offrire una chiave di lettura del ravvedimento di Erik el Belga. Si legge infatti nel catalogo: “Attraverso questo quadro si immagina un uomo che copre le sue debolezze con la maschera della sua antitesi. Un personaggio spaventato, depresso, ossessionato dalla morte”. Elementi questi che per Erik el Belga preannunciavano, giá da quei tempi, la fine di un passato da dimenticare e la voglia di una nuova vita.