LA FINANZIARIZZAZIONE DELLA VITA E LA CRISI DI SISTEMA
Intervento Conferenza UPTER Roma 02/04/2009
di Andrea Baranes – CRBM / Fondazione Culturale Responsabilità Etica
Gli aspetti tecnici e i motivi scatenanti dell'attuale crisi, riassumibili nella mancanza di regole e di controlli e nello strapotere della finanza, sono ormai chiari. Analisti e politici che fino a ieri difendevano a spada tratta le teorie neoliberiste parlano oggi della necessità di dare nuove regole ai mercati finanziari, di mettere sotto controllo strumenti quali gli hedge fund o i fondi di private equity, di limitare l'utilizzo dei derivati o delle operazioni di cartolarizzazione, di frenare le attività speculative. L'attenzione della comunità internazionale sembra finalmente focalizzarsi sullo scandalo dei paradisi fiscali, territori che permettono di eludere o evadere tanto le tasse quanto le normative di altre giurisdizioni.
Si tratta di misure pienamente condivisibili e lungamente attese dalle reti e dalle organizzazioni della società civile internazionale, che da anni propongono alternative e misure concrete per arginare la crescita indiscriminata e la completa liberalizzazione delle attività e dei mercati finanziari e dei capitali.
Nello stesso momento, malgrado la tanto sbandierata “morte del neoliberismo”, queste iniziative e proposte non rimettono in discussione le basi che hanno permesso di arrivare a questi eccessi e non scavano nei motivi più profondi che hanno condotto al dominio della finanza sull'economia reale.
I motivi di lungo periodo si possono rintracciare nella cronica sovrapproduzione dei sistemi industriali occidentali a partire dagli anni '70. Questa sovrapproduzione ha contribuito a comprimere i salari da lavoro, con un conseguente spostamento delle ricchezze verso i profitti. Nello stesso periodo si è assistito allo sviluppo delle attività finanziarie. I capitali sono stati indirizzati in maniera sempre più massiccia sui mercati finanziari e sempre meno in investimenti produttivi, con ulteriore spostamento delle ricchezze al di fuori dell'economia reale. In ultima analisi, si è verificato un progressivo spostamento del reddito dai salari ai profitti, e in contemporanea uno spostamento dei profitti dagli investimenti alle rendite.
La diminuzione della quota del prodotto interno lordo che va ai redditi da lavoro (la wage share) e al corrispondente aumento della quota riservata ai profitti (la profit share) è comune a tutte le economie occidentali. Lo spostamento è stato particolarmente accentuato in Italia, dove, negli ultimi venti anni, è stato calcolato che circa 8 punti di PIL – ovvero qualcosa come 120 miliardi di euro – sono passati dai redditi da lavoro ai profitti finanziari.
Questo ha determinato un progressivo impoverimento dei lavoratori e della classe media. Per mantenere lo stile di vita e di consumi ai quali erano abituati nonché i tassi di crescita necessari al sistema capitalista, si è quindi ricorsi a un indebitamento progressivamente crescente.
In Italia il debito pubblico superava a fine 2008 il 104% del PIL, ovvero la ricchezza prodotta in un anno nel nostro Paese. E' il terzo in valore assoluto nel mondo, alle spalle di quelli di Giappone e Stati Uniti. In quest'ultimo Paese il debito complessivo, sommando quello pubblico, quello dei privati e quello delle imprese, ha raggiunto a fine 2008 un volume pari a tre volte e mezzo il PIL. Semplificando la questione, si può in pratica affermare che i cittadini a stelle e strisce stanno consumando già oggi quello che guadagneranno tra tre anni e mezzo.
Un indebitamento stimolato e favorito dalle politiche monetarie espansive perseguite dalla Federal Reserve negli ultimi decenni, e in particolare durante la lunga “era Greenspan”. Dei bassi tassi di interesse che hanno permesso a famiglie e imprese di indebitarsi oltre ogni ragionevole limite, ma anche agli speculatori di realizzare profitti facili sui mercati finanziari. L'amministrazione Usa ha inteso risolvere in parte la crisi da sovrapproduzione favorendo un aumento del debito che portasse ad un aumento di consumi, in grado di assorbire l'eccesso di offerta sui mercati.
Questo gigantesco indebitamento per mantenere un livello eccessivo di consumi nasconde la vera ragione della crisi che stiamo vivendo. E' innegabile che tra i motivi della crisi ci sia l'enorme espansione “in verticale” della finanza. Le attività finanziarie hanno raggiunto dimensioni di decine se non di centinaia di volte superiori a quelle dell'economia reale. Probabilmente ancora più determinante è però stata l'espansione in “orizzontale” della finanza. Con l'affermarsi del pensiero unico neoliberista abbiamo assistito a un progressivo ritiro dello Stato da settori fondamentali del welfare, dello stato sociale, della tutela dei diritti. La finanza ha occupato questi spazi, nel tentativo, rivelatosi fallimentare, di sostituirsi al pubblico.
L'esempio più emblematico di tale processo è proprio l'esplosione della bolla dei mutui subprime, l'elemento scatenante dell'attuale crisi. Questi mutui rappresentano in pratica il tentativo di delegare ai mercati finanziari una questione di fondamentale importanza quale il diritto alla casa, sancito nella stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Al contrario, il diritto all'abitazione è stato svenduto a speculatori e intermediari finanziari che promettevano anche ai nullatenenti – i famigerati mutuatari ninja (no income, no job or asset – nessun reddito, nessun lavoro ne proprietà) di potersi acquistare una casa di proprietà.
Lo stesso discorso si potrebbe ripetere riguardo la privatizzazione e successiva delega in bianco al settore finanziario di molti altri diritti e elementi basilari dello stato sociale. Così la previdenza non è più un diritto di ogni cittadino, assicurato dallo Stato e dalla comunità. Sono i fondi pensione privati, che investono sui mercati finanziari ad “assicurarla”, sperando che il proprio fondo non abbia in portafogli pezzi di qualche hedge fund registrato alle Isole Cayman o azioni della Lehman Brothers.
Se pensiamo poi alla sanità, all'educazione, all'accesso all'acqua, alla speculazione sul cibo e sulle materie prime, vediamo come il problema non riguardi unicamente la finanziarizzazione dell'economia, ma una vera e propria finanziarizzazione della vita e dei diritti fondamentali.
Lo scoppio della bolla dei subprime non ha provocato danni unicamente a livello finanziario. Milioni di cittadini negli Usa si ritrovano oggi senza una casa. Una chiara dimostrazione, se mai ce ne fosse stato bisogno, del totale fallimento di un approccio che vede nei mercati finanziari la soluzione per soddisfare i diritti fondamentali delle comunità.
L'indebitamento crescente ha rappresentato il primo canale tramite il quale i Paesi occidentali si sono finanziati almeno due decenni di eccesso di consumi. Un secondo canale è quello legato ai giganteschi flussi finanziari che ogni anno si spostano dai Paesi del Sud verso quelli del Nord e i paradisi fiscali.
Il maggiore canale finanziario da Sud a Nord è dovuto ai flussi illeciti, e tra questi la componente maggiore è rappresentata dall'evasione e dall'elusione fiscale delle multinazionali del Nord che realizzano affari nei Paesi del Sud. Si stima che i flussi illeciti ammontino a 1.000 miliardi di dollari l'anno, e siano in crescita del 18% l'anno. Per capire la dimensione del fenomeno, ricordiamo che il totale della cooperazione allo sviluppo ammonta a 100 miliardi di dollari. Questo significa che – nuovamente grazie a meccanismi finanziari, a partire dall'uso dei paradisi fiscali – per ogni dollaro versato da Nord verso Sud in aiuti internazionali, 10 seguono la direzione inversa.
Un gigantesco quanto scandaloso “welfare al contrario” che porta i più poveri a finanziare gli eccessi consumistici e speculativi dei più ricchi.
La situazione attuale è chiara: una parte del mondo, quella occidentale, ha vissuto per decenni al di sopra delle proprie possibilità, in parte sfruttando il Sud del mondo e in parte accumulando debiti sempre più insostenibili. Oggi i nodi stanno venendo al pettine, tanto dal punto di vista economico e finanziario quanto da quello ambientale.
Di fronte a una crisi nata da un eccesso di debiti per finanziare un eccesso di consumi, qual'è la risposta di tutti i governi occidentali? Contrarre nuovi debiti per rilanciare i consumi.
Una soluzione che non potrà che portare alla creazione di nuove bolle e allo scoppio di nuove crisi, ancora più micidiali di quella attuale. Considerando i motivi di lungo periodo che hanno condotto all'attuale recessione globale, per invertire la rotta bisognerebbe al contrario promuovere politiche di redistribuzione del reddito. Questo può avvenire in diversi modi: utilizzando in maniera progressiva la leva fiscale; frenando e invertendo, con opportune politiche pubbliche, il fenomeno di crescente spostamento di ricchezze verso la sfera finanziaria; estendendo lo stato sociale, a partire da un aumento delle pensioni minime, e le politiche di welfare (e quindi i redditi indiretti).
La finanza da fine in sé stesso per produrre denaro dal denaro deve tornare a essere un mezzo al servizio dell'economia produttiva e delle attività commerciali, che ponga il rispetto dei diritti umani e dell'ambiente al centro del proprio operato, attenta alle conseguenze non economiche delle proprie azioni e nella quale la trasparenza è un valore fondamentale.
La profonda crisi che stiamo vivendo dimostra come questo cambio di rotta sia assolutamente urgente e necessario. E' in ballo il nostro futuro. Non è più il caso di scommetterlo nel casinò finanziario internazionale, dobbiamo fermare il gioco e evitare che qualcuno continui a puntare con le nostre fiches.
Andrea Baranes: lavora come responsabile delle campagne su finanza privata e sulle Agenzie di Credito all’Esportazione per la CRBM e per la Fondazione Culturale Responsabilità Etica, gruppo Banca Etica, per ricerche e studi sui temi della finanza e dell’economia. E’ stato segretario della campagna italiana sul Wto “questo mondo non è in vendita” fino alla Conferenza Ministeriale di Cancun, nel 2003. E’ autore di diverse pubblicazioni relative ai temi della finanza e del commercio internazionali, quali “Responsabilità e Finanza – guida alle iniziative in campo socio-ambientale per gli istituti di credito e le imprese finanziarie”; “Perché il mondo ha bisogno di tasse globali”; e “Il mondo è di tutti – I Beni Pubblici Globali e il loro finanziamento”. E’ attualmente membro del Consiglio Direttivo della rete internazionale della società civile BankTrack, e, in Italia, dell’associazione Attac Italia e del Comitato Etico di Etica