Un punto di riferimento per tutta l’Africa Subsahariana.
L'OSPEDALE MODERNO NEL DESERTO DEL SUDAN E LE TRAGEDIE DELL'AFRICA
Emergency ha inaugurato a Soba il Centro «Salam» di cardiochirurgia, l'unica struttura specializzata e gratuita in un'area tre volte più estesa dell’Europa
di Giulio Rosi
PREMESSA
In una clinica dell’Università di Kartum, in Sudan, un trattamento di fecondazione assistita può costare anche meno di 300 dollari. Questa è infatti una delle 3 cliniche finanziate dalla svizzera Low Cost IVF Foundation (LCIF), che mira a fornire una fecondazione in vitro a prezzi accessibili a tutti e a fornire nuove speranze per le coppie con problemi di fertilità e di portafoglio.“Nell’occidente, un trattamento di fecondazione assistita ha spesso a prezzi proibitivi”, ha detto Jonathan Van Blerkom della University of Colorado, membro del team ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology), un’altra task force con l’obiettivo di fornire fecondazione assistita economica alle coppie africane. Negli Usa, un trattamento può costare anche 12 mila dollari. Nel Regno Unito sono 8 mila, che il sistema sanitario può anche non finanziare. Le restrizioni, inoltre, sono tante”. Grazie invece a una sorta di “risparmio” sulle procedure, sia LCIF che ESHRE sono in grado di fornire un trattamento completo.“La chiave sta nell’eliminare dal processo tutta la tecnologia complicata. Si usano anche meno uova del normale - spiega Alan Trounson della LCIF - l’idea è quella di fornire un servizio, non un business. Abbiamo deciso di cominciare dall’Africa a causa dei problemi sociali e culturali che le coppie non fertili africane si trovano ad affrontare”.Cliniche a basso costo si possono trovare anche in Egitto, Tanzania e Sudafrica
REPORTAGE
Appena fuori da Karthoum una furiosa tempesta di sabbia bollente limita la visibilità a una decina di metri, quanta è distanza dal vecchio Land Rover che con le luci di posizione accese ci fa da guida verso il deserto. All’interno dell’Hammer il climatizzatore regala 20 confortevoli gradi. Dopo una trentina di minuti, venuta fuori dal nulla, si delinea davanti al parabrezza una struttura agile e bassa: è l’ospedale Salam, di Emergency e sorge a Soba, 20 chilometri a Sud di Khartoum: una specie di ideale diaframma fra il selvaggio e il moderno. Fuori ci sono 50 gradi e continuano ad imperversare bufere cariche di sabbia. Dentro si fa cardiochirurgia d’eccellenza. La temperatura fra 18 e 20 gradi - ideale per gli ambienti sanitari -. è ottenuta attraverso un innovativo impianto a pannelli solari, mentre un sistema di filtraggio meccanico impedisce che la polvere contamini sale operatorie, rianimazione e sale di degenza.
E’ un ospedale d’avanguardia, per la realizzazione del quale Regione Toscana e Fondazione Mps (Monte Paschi di Siena), firmarono cinque anni fa un protocollo d’intesa. Era il 15 dicembre 2004. L’impegno finanziario congiunto è stato di circa 3 milioni di euro. Inaugurato nel 2007 l’ospedale è già diventato punto di riferimento per tutta l’Africa Subsahariana. L’occasione per un primo bilancio dell’attività dell’ospedale e per illustrare gli obiettivi futuri è stata data dall’avvio in Toscana della campagna “La Toscana per il Sudan”. Il progetto che fa di “Salam” il fulcro dell’assistenza sanitaria, in particolare di tipo cardiologico e cardiochirurgico, per il Sudan e i 9 paesi confinanti (Eritrea, Etiopia, Egitto, Repubblica Centroafricana, Repubblica Democratica del Congo, Uganda,Libia e Ciad), prevede una rete di cliniche satellite dalle quali i pazienti, adulti e bambini, saranno trasferiti via aereo nel centro di Soba per le cure di alta specializzazione e gli interventi chirurgici. In ognuna di queste cliniche satellite, che replicherà il modello già seguito da Emergency per il Centro Sanitario pediatrico aperto nel dicembre 2005 nel centro profughi di Mayo, alla periferia di Khartoum, ci sarà almeno un pediatra e un infermiere pediatrico internazionale. Lo staff sarà poi composto da 25 persone tra medici, infermieri e personale di servizio nazionali. In attesa di realizzare le cliniche satellite il personale internazionale di Emergency ha già iniziato visite di screening presso i reparti di cardiologia di nosocomi in Uganda, Repubblica democratica del Congo, Eritrea e Repubblica centroafricana, per identificare i pazienti da trasferire a “Salam” per gli interventi necessari.
Il bisogno di strutture sanitarie nelle zone meno fortunate del mondo è immenso. Un bilancio che fa paura, ma che nello stesso tempo evidenzia il lavoro spesso sconosciuto dei soccorsi. Oltre 4,2 milioni le persone colpite dalla guerra, di cui 2,1 milioni sotto i 18 anni; 2,2 milioni gli sfollati, di cui la metà bambini; 235.000 i rifugiati in Ciad. Dal 2003, oltre 200.000 i morti a causa della guerra. Ogni giorno in Darfur muoiono 75 bambini per malattie prevenibili o curabili. L'UNICEF stima che siano oltre 7.000 i bambini soldato associati ai gruppi armati in Darfur. Nel 2007 vaccinati 1,3 milioni di bambini contro la polio, 82.400 contro il morbillo e 58.000 donne contro il tetano neo natale; fornite 108.000 zanzariere e vitamina A per 1,28 milioni di bambini.
Le condizioni di grave insicurezza restano il principale ostacolo agli interventi d'assistenza: gli attacchi ai convogli umanitari - per impossessarsi di veicoli, cibo e medicinali - impediscono agli aiuti di raggiungere le popolazioni che ne hanno più disperato bisogno; alcune agenzie umanitarie sono bloccate mentre altre hanno lasciato il Darfur, comprese 3 Ong internazionali: dal 2006, 17 operatori umanitari hanno perso la vita in Darfur; tra gennaio e ottobre 2007 oltre 130 veicoli umanitari sono caduti in imboscate, 11 operatori sono rimasti feriti e 53 sono rimasti vittime di aggressioni: nel complesso, si sono contati 294 attacchi ad Agenzie ONU, Ong partner e militari dell'Unione Africana. Nel corso del 2007 le zone accessibili agli aiuti umanitari sono diminuite dal 78 al 68% del territorio colpito dalla guerra. Oltre alle condizioni di sicurezza, la disponibilità di risorse rappresenta una variabile ulteriore che incide sulla capacità di intervento dell'UNICEF in termini di assistenza umanitaria: il miglioramento nella qualità e quantità di servizi forniti alle popolazioni sfollate registrato tra il 2004 e il 2005 è stato messo a rischio dal grave ammanco fondi registrato nel primo trimestre del 2006, che ha fortemente limitato tutti programmi umanitari in Darfur: l'afflusso di nuove risorse, a partire dalla metà del 2006, ha permesso il ripristino dei normali di livelli d'assistenza e il loro mantenimento giá nei primi mesi del 2007. Adesso marcia a pieno regime.
Vi sono infine ostacoli di carattere geografico e infrastrutturale, con intere regioni inaccessibili durante le stagioni delle piogge per l'assenza di strade e vie di comunicazione, il che comporta difficoltà ulteriori all'invio degli aiuti, che devono essere necessariamente trasportati per via aerea, con le difficoltà logistiche - e il maggiore impatto sulle scarse risorse disponibili - che ne consegue. La situazione dei civili sfollati nel Darfur rimane estremamente precaria: stupri e violenze proseguono impunemente; le milizie Janjaweed continuano ad agire indisturbate nelle aree circostanti i campi sfollati; il Governo di Karthoum insiste affinché gli sfollati ritornino alle rispettive terre di origine, senza che vi siano le condizioni minime di sicurezza per il loro reinsediamento; gli scontri tra Governo e ribelli e tra le varie fazioni in cui questi si dividono si risolvono in ulteriori violenze, saccheggi e distruzioni di villaggi e infrastrutture di base, con le popolazioni civili private dei loro più elementari mezzi di sussistenza. A causa del conflitto, l'economia del Darfur è in costante declino, con un peggioramento delle condizioni di vita dei bambini anche quando non appartenenti a comunità direttamente colpite dalla guerra. Soprattutto, il Darfur è stato ridotto ad una sorta di "ghetto", dove i tre gruppi in cui la popolazione è stata suddivisa dal conflitto - sfollati, comunità d'accoglienza, popolazioni rurali tagliate fuori dagli aiuti - non hanno libertà di movimento al di fuori delle rispettive aree d'insediamento, con gravi ripercussioni di natura economico-sociale. La maggior parte degli sfollati appartiene a tribù africane che vivono di agricoltura, ora private dei loro mezzi di sussistenza; nell'ultimo periodo, però, la diffusa insicurezza ha anche bloccato le rotte tradizionali delle tribù nomadi dedite al commercio di bestiame, provocando il collasso economico di tali comunità, cui è perfino più difficile fornire assistenza in ragione del loro carattere non stanziale. Questo è il Darfur. Una piccola diperata porzione geografica, tragico campionario di una realtà in gran parte sconosciuta, fatta di fame, di guerra, di malattie e di miseria, che si estende a macchia di leopardo in molte parti della terra. Sconosciuta come molte organizzazioni benefiche che si prodigano per gli altri, nell’eterna lotta fra il bene e il male.
Giulio Rosi, Direttore MondoItaliano www.mondoitaliano.net Corrispondente della stampa internazionale da Spagna, Portogallo e Gibilterra criminologo. Esperto ONU, terrorismo, immigrazione illegale, delegato della Associazione Giornalisti Europei (AGEF), accreditato alla Presidenza del Consiglio di Madrid.