Silenzioso dissenso
“Se non ora quando” il titolo della manifestazione che ha visto scendere in piazza le donne di tutta Italia, indignate per il regresso della posizione femminile nel nostro Paese. Il titolo è eloquente. La dice lunga sul mondo delle donne e sugli strumenti a loro disposizione per farsi valere: non è un caso che abbiamo la tendenza a rimandare ogni atto che comporti conflitto. Fin quando è possibile il nostro dissenso è sussurrato. Secoli di cultura maschilista fondata sull’uso della forza hanno insegnato alla donna a farsi morbida, a infilarsi tra le pieghe del sistema per ottenere soddisfazione delle proprie richieste. Richieste per altro mai gridate, sempre avanzate a mezza voce per timore o per rispetto. Poco importa che “in realtà” in alcuni casi siano le donne a comandare, come spesso si suole dire. Significa solo che il potere loro concesso è tollerato e non assurge alla dignità degli scranni. Il detto “dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna” conferma la posizione di secondo piano a cui siamo relegate. E quando anche la donna riveste cariche pubbliche, fatte salve alcune eccezioni, è sempre tributaria di un uomo che in quel posto ce l’ha messa perché moglie, compagna, figlia o amante. Una donna è ancora di qualcuno, generalmente un uomo. E una donna sola è esposta all’abuso. Ancora nella cronaca recente un caso di stupro in pieno centro a Roma: era una spagnola, sola.
Questa volta le donne si sono unite e sono scese in piazza a far rumore prima ancora che a rivendicare qualcosa di preciso. Il senso era chiaro: ci siamo. A forza di parlare piano ci stavamo dimenticando quante siamo: un esercito di donne che ogni giorno lavora a casa e in ufficio, nelle scuole e nelle fabbriche, nelle università, negli ospedali e nei negozi. Donne ma prima di tutto persone, portatrici di diritti: cittadini di una nazione al cui PIL contribuiamo largamente.
Il suffragio universale è cosa recente. Per anni mia nonna ha chiesto a mio nonno indicazioni di voto. Siamo così abituate a stare zitte, che quando ci viene data la parola ci sembra un lusso spenderla. E invece è venuto il momento di usarla: se non ora quando, appunto. Una parola che ha fatto il giro del mondo e ha trovato consenso anche tra gli uomini. Cosa quest’ultima che purtroppo ancora sorprende. Non si pensa che solo una società che riconosce diritti ai più deboli è democratica e ciò a tutto beneficio anche degli uomini. Se negli anni delle battaglie del femminismo la lotta era mirata a ottenere più diritti per le donne, la mobilitazione femminile di questi giorni ha una portata ben più ampia: vuole migliorare il livello di democrazia della comunità intera. Un progresso sociale e culturale da cui non può prescindere una società moderna.
E se le donne rompono il silenzio c’è da credere a quel che dicono perché non lo fanno a cuor leggero: sanno quel che fanno, le donne, perché da anni non ricevono sconti e hanno sempre pagato a caro prezzo ogni progresso.
Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni