Le regole del gioco: Articolo 1
Dell’Articolo 1 della nostra Costituzione si ricorda di solito il primo capoverso noto per il riferimento al lavoro –Repubblica democratica “fondata sul lavoro”- e si dimentica il secondo, forse ancora più importante, che non a caso viene prima di ogni altra statuizione: “La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Anche il sovrano dunque –il popolo in questo caso- è tenuto al rispetto della legge. Il concetto per il quale il potere debba incontrare un limite nella Costituzione alla quale deve appunto uni-formarsi appartiene alla categoria delle “regole del gioco”. Senza regole una società incespica. Avanza in un equilibrio instabile di passi falsi e ruzzoloni. Ed è esattamente quanto sta accadendo a un’Italia che ha perso il senso della misura. Il continuo contravvenire. Il fare e disfare. L’eludere. Tutte pratiche che si sono diffuse a qualsiasi livello sociale dando la percezione che nulla sia imprescindibile e tutto modificabile.
Fatta le legge trovato l’inganno, si è sempre detto, ma oggi va pure peggio. Quel detto implicitamente riconosce valore alla legge che appunto necessita di un artificio per essere elusa. Ma che legge resta. Il grave della situazione attuale è che non solo la legge ha perso valore, ma ha anche perso la propria identità, di limite appunto: unico baluardo rimasto, argine ultimo all’abuso di potere, la Costituzione. In tutti questi anni la Carta ha assolto con coraggio al proprio compito di vecchio saggio. E proprio come un abito classico, fuori moda e un po’ scomodo si è rivelata essere un assetto normativo pratico se non addirittura salvifico. Proprio perché essenziale è omnicomprensivo. Non è un caso che sia sempre attuale. Se il potere non si sente più sottoposto a lei vuol dire che quel potere è fuori posto, non la Costituzione. Non è il gioco che fa le regole ma sono le regole a guidare il gioco. Di solito si incomincia a pensare di cambiare le carte in tavola quando si ha paura di perdere: vuol dire che il potere è debole e ha paura di non resistere.
Una società rispettosa delle regole, invece, si sente forte e accetta di farsi carico delle proprie responsabilità. Sa giocare e non teme di perdere. E per questo vince. Non mi piace l’Italia che vedo e che sono: un’italietta che appoggia chi bara perché a sua volta vorrebbe poterlo fare. Incredibili le immagini che ci sono giunte dal Giappone stremato: tanta distruzione ma anche tanta dignità e rispettoso ossequio delle regole. Quelle regole di sicurezza che hanno evitato una catastrofe ancor peggiore. Fermi al proprio posto mentre la terra trema e il cuore scoppia nel petto. Non c’è forza maggiore che esoneri. Non c’è impulso alla fuga che autorizzi. Anzi, quando tutto è nel caos il rigore diventa vitale. Tokyo non ha praticamente contato danni. Non oso pensare cosa sarebbe successo da noi: la calca, l’ammassarsi per le scale, il camminarsi sopra, gli ingorghi.
Ma la regola è rispettata se c’è fiducia in chi la ha prodotta. Non vogliamo il nucleare semplicemente perché non ci fidiamo di noi stessi e nei nostri governanti. Sappiamo che non ci sarebbe regola di sicurezza che non verrebbe contravvenuta anche nella costruzione delle centrali e nella loro gestione. Senza contare che la loro riapertura andrebbe in senso contrario rispetto al risultato del Referendum -l’espressione più diretta della sovranità popolare- che aveva decretato la loro chiusura.
Unica la Costituzione a restare ferma e coerente mentre leggi di ogni ordine e grado si alternano in tutte le direzioni. Non è dunque un caso se c’è ancora chi ha fiducia in quelle regole fondanti ed è pronto a scendere in piazza per difenderle. Che il popolo sovrano si batta per la sopravvivenza delle regole poste a suo limite è ironico ma anche di buon auspicio: il cuore ancora batte, c’è vita e forse speranza di guarigione.
Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni