Numero 61 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

La cultura cinematografica ridotta all’Oscar

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di Laura Lambiase Profeta

 

 

La critica cinematografica attuale, spogliata dei grandi nomi quali Beniamino Placido, Tullio Kezich e la indomabile Tornabuoni, si eccita e si emoziona solo quando c’è lontano odore di festival, di premi e di lunghe notti oscariane.
Red Carpet, lidi bondiani assolati, strasse berlinesi, bombe alla crema romane, azzurre coste cannesi.
Altrimenti il nulla.

“Les cinèphiles d’un temps”  su una questione di vita o di morte si dividevano, come per Coppi e Bartali, in truffottiani e godardiani.  I trouffottiani perdonavano a Godard le sequenze infinite e i godardiani la eccessiva leggerezza di Truffaut.

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Noi eravamo truffottiani.  Ma oggi riproponendo quella importante stagione culturale da cui nacque  “La nouvelle Vague”  è doveroso parlare soprattutto di  Godard.
La Nouvelle  Vague  c’est  lui.

“I quattrocento colpi”, che molto erroneamente  Wikipedia  ha deciso tratto da un ramanzo di Henry James, e “Fino all’ultimo respiro” sono i titoli che per primi restano nella memoria legata a questa avanguardia. Trauffaut amava James, e lo ricorda nella Camera Verde. Godard sceglie Moravia del Disprezzo: una Capri magnificata dalla strabiliante Villa Malaparte in cui il film è girato. Monumento  razionalista adagiato su Punta Massullo, costone di roccia  che guarda il  mare,  e che l’azzurro marino fa splendere nel suo  rosso caldo. Una Venere scalza e desnuda si aggira splendida e infantile: Brigitte Bardot, simbolo della Francia e della bellezza totale.
Godard  “lo scomodo”; Godard “l’irascibile”; Godard “l’ideologo”.

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“Cinema Nuovo”, la rivista di estrazione marxista diretta da Guido Aristarco (comunista!!!) considerò i primi film del regista pura paccottiglia anarchico-borghese, per poi ricredersi toccando con mano la carica rivoluzionaria di opere quali “Due o tre cose che so di lei”.

“Ma la verità è che questo “maestro” del “cinema cinematografico”, la mostruosa “bete à cinéma” di cui si parlava ai tempi di “Fino all’ultimo respiro”, sa che oggi l’immagine, “il grande fumetto” come egli dice, è una delle forme trionfanti della violenza istituzionalizzata e che pensiero, parola, immaginazione sono termini e possibilità da ritrovare”. ( Cinema Nuovo 1968).

Il suo è un linguaggio rude, virile, tendenzioso. Pochi tecnicismi. Niente fronzoli né ammiccamenti.  Godard  è sgradevole, imbarazzante, irritante. Ma è proprio in questa sgradevolezza il suo genio di  fascinatore. E’ come un’amicizia nata da uno scontro violento, un amore che si trasfigura in passione, ma solo dopo aver attraversato e vissuto un sentimento di profonda antipatia. Ecco! Godard non conosce moti di empatia; non vuole essere incantatore. Descrive senza fare il furbo. Non lascia che veli pietosi coprano le spoglie della realtà come un sudario.
La Camera segue ossessivamente i passi dei protagonisti da una stanza all’altra, lentamente, in tempo reale mentre si susseguono suoni, sillabe, parole, frasi che interferiscono con la storia e la dispiegano. Corpi immobili nel fulgore algido di pareti imbiancate. Interminabili percorsi lungo i corridoi di  un albergo di Alphaville.  Primi piani di volti di donne, corpi, sguardi che svelano piccoli inusitati stati d’animo. Lievi percezioni, minimi cambiamenti, pulsioni involontarie.

Macchine ferme in fila sul margine di una strada, che la cinepresa segue freddamente per dieci minuti: immagine dei nostri Week End, inalterata nel tempo, amplificata dal suono stridente dei clacson.
E  Belmondo, colpito a morte, bestia braccata, morente, in fuga, tra automobili, facciate di  palazzi, balconi finestre portoni .

Sì Godard non è gentile, né soave; ti prende l’anima e te la strizza perché  questo è utile, perché è necessario.

E se oggi la cultura tornasse a dar fastidio?  A provocare? A sputare sugli spettatori… a riempire il palcoscenico di corpi nudi immobili spettrali. Se avesse di nuovo la voce straordinaria di Carmelo  Bene  insieme alla sua spregiudicatezza. E il sangue, il fegato e il cuore di Pasolini da riversare negli scritti tanto da risvegliare coscienze dormienti.  Se, infine, ritrovasse pensieri, parole e immaginazione contro l’avida cialtroneria dei mercanti nel tempio.
 
A Jean-Luc Godard  è toccato l’Oscar alla carriera quest’anno: quindi i giornalisti festivalieri nella loro grande ignoranza, hanno dovuto parlare di lui, nonostante tutto. Infatti hanno spiegato ai loro lettori che  un vecchio regista francese di nome Godard la notte più importante della sua vita non si è presentato a ritirare l’Oscar.

 

 

Osare.
Avere il coraggio di andare contro corrente, di andare oltre, di valicare confini, di non fermarsi alla superficie. Non esiste una cultura alta ed una meno alta esiste solo la noia. Un gesto creativo senza vita, asfittico, pavido, furbo, conveniente è merda.
Laura Lambiase Profeta ha scritto di musica per “Laboratorio Musica” e “l’Unità”; ha descritto Napoli sul “Mattino” e sulla guida “dell’Espresso”; si è divertita su “Cosmopolitan”.