Numero 63 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Il nucleare tra-passato e il futuro

di Pasquale Buongiovanni

 

 

Con un salto dell’immaginazione, oggi,  è possibile affermare che c’è  più energia potenziale  nella totalità  degli asset immateriali, ovvero nella  totalità della conoscenza accumulata,  che in quella di mille future centrali nucleari;  ciò appare  ancora più vero, se si considera  che la stessa ricerca nel campo dell’energia nucleare sicura è parte di tali asset; ma, in proposito,  gli esperti parlano di  soluzioni efficaci soltanto fra trent’anni, quando il nucleare sarà probabilmente superato.

 

 

Chi oggi sostiene il nucleare, in realtà, coltiva l’illusione di procrastinare a tempo indeterminato l’attuale modello  economico dissipativo/distruttivo, che in campo energetico significa sostenere un sistema di  produzione di energia concentrato vs un sistema di  produzione di energia diffuso, ovvero in rete. In sostanza è possibile, senza esagerare,    affermare che il nucleare rimane  la risorsa estrema dei difensori dello status quo e di chi ha una concezione unilaterale e deterministica dello sviluppo economico.
Qui,  non si tratta di opporsi alla scelta nucleare con prese di posizioni  ideologiche, né di indulgere alle teorie della decrescita, che pure meriterebbero  grande attenzione; ma di osservare le cose da un nuovo punto di vista, nel tentativo di  scorgere  territori sconosciuti e  auspicare una nuova rivoluzione copernicana.  
Se si fa riferimento al  lungo periodo,  più che  soffermarsi alla  pur interessante disputa filosofica sul dominio della  tecnica e del suo  definitivo trionfo,  conviene, piuttosto, guardare all’affermarsi del Social Intellect, cioè a quella  dimensione  del potenziale cognitivo umano che riassume il  carattere sociale  della conoscenza, che rende possibile il libero sviluppo dell’individuo e pone l’uomo e la potenza infinita del suo intelletto al centro di conquiste  conoscitive imprevedibili; un processo, questo, che va oltre la causalità lineare verso la  dimensione della complessità.

Già  a partire dal lontano 1973(1), si è verificato un primo decisivo passaggio nella direzione sopra auspicata. Dalla  stima di alcuni studiosi è emerso che lo stock di

capitale intangibile (Istruzione, formazione, R&S) è divenuto, in quell’anno,  equivalente allo stock di capitale fisico. Alle  soglie degli anni ‘2000, il rapporto tra il capitale intangibile e il capitale fisico,  nell’arco di un  trentennio   è più che raddoppiato ed oggi è ancora più preponderante. Per non limitarsi a fare i ragionieri della conoscenza, da questa constatazione si devono trarre le necessarie  conclusioni. Senza  operare grandi  forzature, si può affermare che sempre più nuova conoscenza è incorporata nell’organizzazione e nella gestione di tutte le forme di produzione; vale a dire che una nuova forma di energia, la conoscenza,  diverrà sempre più  il motore principale di ogni possibile  sviluppo economico.
Allora,  non appare  esagerato sottolineare   che the combination of technological expertise and social intellect(2) sarà alla base   dello  sviluppo di nuovi modelli organizzativi e produttivi sempre più efficienti.
Se le cose stanno così, è prevedibile  che,  in un tempo non lontano,  tale tendenza libererà l’umanità anche dal problema energetico. L’energia, è chiaro, continuerà ad essere utile e necessaria;  ma in un mondo che si va riorganizzando diversamente, essa  non potrà continuare ad avere  il peso e l’importanza  che ha avuto nel corso dell’era industriale moderna.
L’imperativo, oggi,  è sottrarre all’opzione nucleare la sua presunta centralità in campo energetico, rigettando il  principio deterministico su cui essa si basa   e guardare a possibili fonti energetiche più adatte al  nuovo scenario.  Non si tratta di insistere soltanto sulle  fonti energetiche rinnovabili, ma di allargare la visuale e ricercare  nuovi modelli economici basati su  tecnologie di produzione e consumo eco-compatibili fino a spingersi ad intravvedere la concreta possibilità di  nuovi rapporti di produzione dove, tra l’altro,  prevalga l’etica,  la responsabilità sociale d’impresa e non più il profitto per il profitto.
Allora, il no al nucleare deve essere un no assoluto e universale. E’ inutile attestarsi, su una linea di difesa, solo  in parte condivisibile,  che si riferisce alla particolarità e pericolosità   delle   condizioni  sociali e naturali esistenti  che rendono difficilmente praticabile la scelta nucleare ovunque e a maggior ragione  in Italia; qui, oggi, una politica in stato confusionale, senza una vision e con l’aggravante  della mancanza di un piano energetico nazionale,  pone in maniera irresponsabile la scelta nucleare come condicio sine qua non dello  sviluppo economico.
E’ possibile  che nel mondo qualche altra decina di centrali nucleari saranno  costruite, ma ciò fa solo ravvisare   propaggini del vecchio mondo che resiste e ritarda l’avvento di quello nuovo; quest’ultimo si spera, in presenza di forme inedite di civilizzazione,  non più inscrivibile  nell’idea delle   magnifiche sorti e progressive.

 

Note

  1. Dominique Foray L’economia della conoscenza,  Il Mulino Bologna 2006.
  2. Op. cit.

 

 

Pasquale Buongiovanni: Sono un Consulente Aziendale esperto nello sviluppo e implementazione dei Sistemi Qualità. Opero anche nel campo dell'Alta Formazione (Economia e Organizzazione Aziendale).
www.qualitymanager.it
www.pasqualebuongiovanni.blogspot.com