Dov'è il sorriso delle ragazze?
C'era una volta una giovane donna “Alta, formosa, ben fatta con una pelle liscia e splendida, ...”
Era bellissima, il suo sorriso squarciava il cielo e accarezzava il sole.
Era bellissima in un elegante abito nero, seduta su di un divano in un atteggiamento di signorile serenità.
Era bellissima, appena ventenne, accanto alla madre nel suo abito bianco con un bouquet tra le dita.
Era bellissima : si chiamava Rosemary Kennedy, terzogenita di una famiglia di origini irlandese, cattolica, simbolo del Grande Sogno Americano.
“Alta, formosa, ben fatta con una pelle liscia e splendida, la ragazza era la più bella dei Kennedy”.
Infatti era la più bella dei Kennedy finché un giorno del 1941 fu ricoverata nell'ospedale del Dottor James W. Watts.
A ventitré anni mostrava un preoccupante interesse per i ragazzi, era incline a sbalzi di umore e a ribellioni. Spirito libero, presentava una sgradevole disinvoltura sessuale che poteva ledere fortemente l'ascesa al trono del fratello John Fitzgerard Kennedy già in odore di presidenza.
La bellissima Rosemary doveva essere fermata. Bisognava guarirla da se stessa.
Quel giorno del 1941, dietro muta insistenza della madre che non sopportava più le intemperanze della figlia e la sua audacia, la piccola, adorabile, dolcissima Rosemary, stesa su di un tavolo in una sala operatoria dell'ospedale del Dottor Watts nella città di Boston, fu sottoposta ad un intervento di lobotomia transorbitale.
“Il termine leucotomia deriva da leuco”bianco” e tomos “tagliare”. In pratica recisione della materia bianca, i fasci di assoni che permettono la comunicazione tra neuroni. Il dottor Freeman lo ribattezzò col nome più rassicurante di lobotomia.
Nella lobotomia transorbitale veniva usato un maglio per permettere al punteruolo chirurgico (ovvero una sorta di rompighiaccio lungo 20 centimetri e spesso 5 millimetri) detto orbitoclasto, di trapassare lo strato osseo appena al di sopra della palpebra. Il punteruolo veniva quindi mosso energicamente al fine di danneggiare il lobo frontale”.
L'operazione veniva eseguita senza anestesia, su di un paziente del tutto cosciente.
C'era una volta Mabel.
“Non è strana, è solo diversa” dice di lei il marito. “Un po' matta, un po' nervosa, forse depressa” pensano gli amici e i parenti.
E' la moglie di Nick, operaio della profonda provincia americana.
Italo americano. Mangiatore indefesso di spaghetti, pazzo per la moglie, devoto alla “santa” madre italiana, piena di pregiudizi e di inesplorate ipocrisie.
Corpo esile, Mabel, capelli biondissimi eredità della sua origine svedese, tratti leggeri del viso. Anima evanescente, desiderio di esuberanza tradita, gentilezza nei gesti.
Una gran fantasia, fantasma del suo mondo infantile, uno spirito che anela alla libertà, una vaga consapevolezza di sé, nonostante il continuo diniego della sua bella diversità da parte del marito, “pazza di lei” ma non della sua vera natura. Lei è diversa, è stramba, è esuberante, è poetica, è carnale, è un animale sociale, una dea-madre, una leonessa in costante difesa dei suoi cuccioli. Amatissima dai suoi tre bambini, lei non conosce la severità tutta di facciata, che di solito nasconde l'assenza di amore.
Lei è Mabel Longhetti.”stralunata” moglie di Nick, nuora di una terribile signora italo-americana abituata al comando e al “sacrificio per il bene dei figli”.
In quel mondo ordinario, piccolo borghese, ignorante e stantio lei cerca costantemente di “stare alle regole” , di fare la buona, “Ho fatto bene, Nick?”, “Va bene così Nick?”.
Non sa di offendere l'aridità della gente con un sorriso di troppo, esprimendo la sua forte fisicità.
L'amorevole, devoto marito, è un uomo iracondo, fuori controllo, violento, insensibile, furioso. Perennemente a disagio.
Cassavetes nel suo bellissimo film “ Una Moglie” del 1974, sa bene che una donna è l'anello debole, più vulnerabile della specie. In una lunga, terribile enumerazione di donne date alle fiamme come streghe, vendute come schiave , chiuse in monastero, ricoverate in manicomio, abusate, violate nel profondo delle loro anime dolenti. Sa bene che un uomo che afferma di amare la propria donna è una giustificazione vivente, può farne quello che vuole. E Nick decide che ormai è tempo che la moglie venga curata. La sua malattia è essere Mabel , nient'altro che Mabel.
Per il suo bene decide che venga ricoverata in un istituto psichiatrico.
Quando, dopo sei mesi, lei rientra in una casa listata a lutto per il suo ritorno, trova il marito che la rivuole com'era, in un gioco al massacro che la vede giocatrice inconsapevole.
Paralizzata dal desiderio di mostrarsi guarita, in un universo che pretende normalità lei si perde, si sente completamente sola contro quella estraneità algida.
Chiede inutilmente aiuto al padre “ Papà vuoi venire dalla mia parte?”
Poi accenna cautamente a parlare di sé e della sua esperienza....” Venivano tutte le mattine a farti un'iniezione... ti accompagnavano al bagno...poi ti facevano l' elettroshock, cioè ti fanno passare la corrente elettrica nella testa e credono che così..”
Non le è permesso di raccontare.. Nessuno vuole sapere. Nessuno vuole ascoltare.
“L'elettroshock è una tecnica che consiste nel provocare artificialmente nel paziente una crisi epilettica generalizzata per mezzo del passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello.
Viene effettuata, applicando alle tempie del paziente due elettrodi collegati ad un generatore di corrente. Le mandibole del paziente vengono bloccate, e viene applicata una corrente per un periodo di tempo di pochi secondi. Il passaggio della corrente attraverso il cervello provoca immediatamente un intenso attacco convulsivo, identico ad un grave attacco di epilessia, che dura più o meno 30 secondi. Inizialmente la terapia veniva praticata su pazienti coscienti, senza l'uso di anestesia e rilassanti muscolari. I pazienti perdevano conoscenza durante la seduta e subivano violente contrazioni muscolari incontrollate, che a volte potevano causare fratture ossee (specialmente alle vertebre) e stiramenti muscolari”.
Finalmente il dolore di Mabel straripa, inonda la sua vita, scoperchia la sua sofferenza, si scatena contro il marito, che l'assale, che, furente, le strappa dalle braccia i bambini in difesa strenua della propria madre. Che la percuote, l'insulta, la sgrida, la tranquillizza ..finalmente tutto ritorna come prima. Nulla è cambiato, tutto è come prima: “ ha vinto l'amore”.
Ed ecco che Cassavates mette in atto il suo sberleffo finale. Lo fa con la musica di Bo Harwood e con le parole della protagonista che, con un sorriso stinto, pronta ad affrontare tutto da capo dice stancamente: “Non so neppure come è cominciata tutta questa storia, non so forse sarà stato un periodo di stanchezza”.
Questa non è la trama di un appassionato melodramma, non è “un rapporto d'amore intenso e incondizionato di un marito per la moglie che è sul bordo della pazzia”, non la storia del riconoscimento di un'anima ferita, non la sua guarigione,come qualcuno ha sentenziato.
E' una potente accusa di un grande regista verso la bella famiglia americana, in cui la madre, la donna, non ha il diritto di esprimere la sua propria indole, il suo fervore poetico, la sua capacità affettiva, in nome di un decoro di segno potentemente piccolo borghese e autoritario.
“E' arrivata l'autorizzazione finale? “ chiede il dottor Watts.
La sua voce è punteggiata dal suono metallico degli strumenti che dispone in fila come soldati in un vassoio.
“ Sì” risponde Walter, la benda bianca sul naso e bocca, due fili sottili che si insinuano dietro le orecchie. E' dispiaciuto, quasi dolente.
Vede il corpo della donna muoversi sotto il lenzuolo mentre i capelli scampati alla rasatura preoperatoria ricadono oltre il bordo del tavolo.
Le hanno dato un blando tranquillante, non deve dormire. Anche in quelle condizioni Walter la vede dolce, ingenua. Ma pensa che dopo andrà meglio.
Le incidono i lati della fronte, una coppia di tagli non più di due centimetri ciascuno, poi Watts raccoglie un ferro chirurgico a forma di coltello e lo appoggia alle ferite.
“Adesso, Rose, sentirai un rumore molto forte, non spaventarti mi raccomando”
“Sì” risponde la donna con un sorriso sbiadito.
Il maglio chirurgico piomba dall'alto come un rapace. Poi Watts lo mette da parte e comincia a muovere lo strumento nel cranio su e già, a destra e a sinistra.
Rose si muove appena. Sente dolore ma le hanno detto di rimanere ferma e lei cerca di ubbidire.
“Rose, potresti recitarmi la preghiera del Signore , per favore?” chiede Walter mentre Watts continua a fare entrare il metallo poco per volta
“Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome..” E così di seguito con voce cantilenante e leggera.
Lunghi minuti di silenzio mentre Watts muove, millimetro dopo millimetro, lo strumento dentro di lei.
“Potresti recitarmela di nuovo, Rose?” la donna ricomincia, ma le parole sono incerte, impastate le une alle altre. Termina a fatica.
“Un 'ultima volta, Rose. Abbiamo quasi finito” la cantilena riparte.
Gli occhi si sono fatti fissi, un braccio scivola fuori dal lenzuolo e rimane a penzolare come fosse di gomma. Odore di urina si spande nell'aria.
“...Da...cci. Pae...Maeee...Ame...”
Grazie Rose, sei stata bravissima “
Rosemary, la più bella dei Kennedy, dopo quel giorno del 1941 si trasformò in un vegetale, la testa riversa di lato, incapace d'intendere e di volere, incontinente, costretta su di una sedia a rotelle.
Senza più voce, senza più parole.
Dov'è ora il suo sorriso che squarciava il cielo?
Laura Lambiase Profeta : Osare.
Avere il coraggio di andare contro corrente, di andare oltre, di valicare confini, di non fermarsi alla superficie. Non esiste una cultura alta ed una meno alta esiste solo la noia. Un gesto creativo senza vita, asfittico, pavido, furbo, conveniente è merda.
Laura Lambiase Profeta ha scritto di musica per "Laboratorio Musica" e "l'Unità"; ha descritto Napoli sul "Mattino" e sulla guida "dell'Espresso"; si è divertita su "Cosmopolitan".
E nata a Pontecagnano molti, molti anni or sono e vive a Napoli tra Paradiso e Provvidenza.