Italiani cannibali
di Alfonso Palumbo
Non stupitevi del titolo: quello che avevo pensato in precedenza era molto, molto peggio. Credo da sempre che le parole abbiano - malgrado gli infingimenti e le regole della ipocrita educazione - una loro forza e servano allo scopo. Quanto scrivo non serve altro che ad amplificare quello che da anni sostengo con accanimento: e cioè che siamo noi i primi traditori di noi stessi e che le se le colpe del Paese sono tante, esse si nutrono del nostro stesso pessimo modo di fare, pensare, agire.
Ci sono zone geografiche d’Italia che non possono che sollevare sdegno. Ne sono testimoni le aree funestate dal sisma in Abruzzo, dalla criminalità organizzata in Calabria, dall’alluvione in Sicilia: la colpa è sempre del destino. E le colpe dei locali? C’è qualcuno che, in loco, osa fare autocritica? A me pare che sia solo la logica del lutto e della lacrima a prevalere. Il tempo di un flash o di un paio di report giornalistici.
Ma lasciamo da parte la cronaca. Ancora più triste è la quotidianità di fatti che dovrebbero - se non altro - lascarci perplessi. Perché se di cannibalismo occorre parlare, i temi non mancano. Già chi mi lesse in passato ebbe modo di capire quanto io sia avverso alle logiche che esaltano la moda, la televisione, lo sport (il calcio in primis). A proposito di tv, non cerco un aggettivo che offenda bensì uno che faccia capire il mio disgusto davanti a personaggi come le presunte “regine dei salotti” abili a porsi all’opposto della educazione e dell’equilibrio. Mi riferisco a gente del calibro di Paola Perego, di Alessia Marcuzzi, di Alba Parietti, di Simona Ventura, di Victoria Cabello; gente che spadroneggia dal piccolo schermo e che con indomito coraggio commenta, inquisisce, consiglia, giudica, costantemente attenta alla possibilità di un sopra le righe che faccia notizia.
La tv non mi spaventa, le misure per tenerla sotto controllo credo di averli tutti. Eppure reputo poco positivo che sia la pubblicità di una merendina a farci sapere che una ex-sportiva è incinta della seconda figlia; così come mi pare non esaltante che a un presentatore si riservi l’onore di un solenne funerale di Stato in una solenne cattedrale: qualora scomparisse un premio Nobel o altro grande personaggio ci sarebbero probabilmente solo lacrime silenziose… e qualche scrupolo personale in meno.
Certo, c’è caos e caos, se pensiamo che mentre il prezzo del grano crolla quello di pasta e derivati sale. Gli ultimi dati di Coldiretti dicono che il grano oggi costa 0.13 euro/kg eppure tale costo non si riflette equamente sui lavorati finali, anzi. Dei carburanti non parlo tanto ovvio ne è il riferimento. E che dire degli annunci-farsa proposti da alcune aziende nazionali nelle rubriche di ricerca personale? Si cercano giovani brillanti, sotto i trenta anni, con esperienza (preferibilmente all’estero), la conoscenza di una o più lingue, un profilo ad hoc per la mansione richiesta, competenze informatiche e magari dotati di stage/master. Il dubbio che le posizioni in questione siano inesistenti o che debbano rimanere vacanti è forte.
Ma cos’è allora che determina questo stato di cose? La “cultura” degli ultimi tempi o quella che si è stratificata, anno dopo anno, verso il basso? Sarà il disincanto perché vediamo il nostro Paese franare sotto i colpi di una crisi che è morale prima che economica? Oppure magari perché è il frutto dell’egoismo della sofferenza? Almeno così scriveva Dostoevskij: si tratta del godere del proprio dolore, quasi che dal tormento si tragga piacere, un piacere che sale al top quando si è insieme umiliati, offesi, oppressi. Più semplicemente, quello che faceva Tafazzi quando se lo dava sui marroni.
Alfonso Palumbo: Giornalista free-lance che si occupa di cronaca e politica. Al momento svolge mansioni di Direttore responsabile per conto di un mensile, family-oriented. Vive a Roma dal 2001 ed é un appassionato di teatro e letteratura. Per diletto scrive sceneggiature e soggetti teatrali; inoltre ha pubblicato due libri di narrativa, il terzo spera esca tra poco. E’ un curioso e gli piace credere che <I giornalisti liberi siano una garanzia di verità>. E’ uscito in questi giorni “I quattro re”, AndreaOppure Editore, Roma, pg. 86 (narrativa).