La libertà di trovare punti di incontro
La conciliazione è un metodo di autocomposizione della lite con il quale le parti si affidano ad un terzo, il quale le assiste nel cercare un accordo comune. A differenza dell'arbitro, il conciliatore non decide il merito della lite, ma si limita a creare le premesse affinché si arrivi ad una soluzione concordata. Tale aspetto viene sottolineato anche con l'affermazione che la conciliazione è, a differenza dell'arbitrato, una procedura non aggiudicativa.
Anche nel procedimento ordinario viene dato largo spazio alla conciliazione. Il nostro ordinamento prevedeva, fino alla recente riforma attuata con la legge 80/05, il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle cause civili alla prima udienza di trattazione (e conseguente obbligo di comparizione personale delle parti), con la facoltà inoltre di rinnovarlo in qualsiasi momento dell'istruzione.
Il codice di procedura del 1865 prevedeva un titolo apposito per disciplinare la conciliazione e l'arbitrato.
Constatato l'insuccesso della previsione dell'art. 183 cpc ante riforma che prevedeva il tentativo obbligatorio di conciliazione se la natura della causa lo consentiva (tale pratica si risolveva nella maggior parte dei casi in una inutile formalità), il legislatore ha opportunamente deciso per la sua abrogazione ed il conseguente ampliamento dell'art. 185 cpc il quale oggi dispone che il tentativo va esperito solo nel caso di richiesta congiunta delle parti, salvo quanto disposto, a seguito di direttive comunitarie, dalle novelle in materia di mediazione diretta alla conciliazione.
Di particolare rilievo nella conciliazione giudiziale è il c.d. modello di Stoccarda, il quale prevede una proposta conciliativa da parte del giudice al termine della fase istruttoria. La parte che rifiuta tale proposta sarà tenuta, qualora la sentenza confermi la proposta, a rifondere le maggiori spese legali, tale principio informa la novella citata.
Non vi è ostacolo di alcun tipo perché la conciliazione non possa trovare spazio anche nell'ambito dell'arbitrato (incluso, ovviamente previo accordo delle parti, il modello di Stoccarda).
Tutte le maggiori camere arbitrali prevedono un apposito regolamento anche per la conciliazione e la possibilità per gli arbitri di avvalersene come possibile esito del procedimento arbitrale, in alternativa all'emanazione del lodo.
La differenza fra processo ordinario, arbitrato e conciliazione viene spesso illustrata con l'aiuto della metafora del c.d. Orange Case, che ci permettiamo qui di esporre brevemente. Osserviamo le differenze fra i tre istituti dal punto di vista di due cuochi in un'ipotetica lite per un'arancia: il giudice deciderebbe che l'arancia venisse attribuita ad uno solo di essi, l'arbitro la dividerebbe a metà assegnandone una parte a ciascuno, il conciliatore invece sarebbe dell'opinione che un cuoco necessita del succo, l'altro invece della buccia.
La mediazione
Nella nostra prassi non è sentita la differenziazione fra conciliazione e mediazione: mentre la prima tenderebbe a comporre stragiudizialmente la lite, la mediazione richiederebbe un elemento in più, la reciproca rinuncia di parte della pretesa.
Chi sostiene invece che il discrimine stia nel potere decisionale (che sarebbe proprio del solo mediatore) cade in errore, poiché in questo caso la mediazione sarebbe attratta nell'ambito dell'arbitrato.
L'arbitrato obbligatorio
L'arbitrato obbligatorio si differenzia da quello puro e semplice perché, invece di fondare le proprie basi nell'accordo delle parti, viene attuato in virtù di una disposizione di legge che impone ai privati di sottoporre una determinata controversia ad arbitrato. A tale istituto si è in passato ricorso sovente nella prassi italiana.
Note
(1) Roberi e. Ventimiglia, Cass. 31 luglio 1950, n. 2250: "Per distinguere l'arbitrato volontario, l'arbitrato necessario e l'organo di giurisdizione speciale, il potere di disposizione delle parti va preso in considerazione in due momenti distinti: a) la libertà di scelta tra l'arbitrato ed il ricorso agli organi giurisdizionali dello Stato b) la libertà di scelta dei giudici tra persone di fiducia delle parti. Quando ricorrono nelle parti entrambe le libertà di scelta si ha arbitrato volontario, quando manca la prima si ha arbitrato obbligatorio, quando mancano entrambe le facoltà di scelta si ha giurisdizione speciale".
Vincenzo Porcasi: commercialista, anni 66. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, specializzato in questioni di internazionalizzazione di impresa, organizzazione aziendale, Marketing globale e territoriale. Autore di numerosi saggi monografici e articoli, commissionati, fra l’altro dal C.N.R.-Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero del Lavoro. Incarichi di docenza con l’Università “LUISS”, con l’Università di Cassino, con l’Università di Urbino, con l’Università di Bologna, con la Sapienza di Roma, con l’Università di Trieste, e con quella di Palermo nonché dell’UNISU di Roma. E’ ispettore per il Ministero dello Sviluppo economico. Già GOA presso il Tribunale di Gorizia, nonché già Giudice Tributario presso la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna.