Numero 31 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Social Network Marketing
Creare valore con i gruppi.
Dalle produser alle prosumer community 

Di Vincenzo Cammarata

 

Cosa è un social network? Cosa è cambiato nel modo di usare il web come tool di marketing? Come riescono le nuove metodologie ad instaurare relazioni intense, durature e a volte “improbabili” fra i vari stake-holder? Ma soprattutto, come far funzionare una strategia di integrated marketing communication che preveda l’utilizzo del social networking, davvero capace di generare valore? Non volendo assolutamente fare accademia o proporre tassonomie varie, osserveremo insieme un fenomeno, quello del “social network marketing”. Un tema sicuramente molto attuale e che può essere fonte d’ispirazione per sviluppare utili tattiche di marketing comunicando in modo strategico, pro-attivo, innovativo ed efficace il proprio brand, a prescindere dalle dimensioni (non ultime quelle geografiche) del mercato di riferimento e dell’entità del business che esso genera.

I social network sono sempre esistiti.
Rappresentano le reti di relazioni sociali che ognuno di noi instaura quotidianamente con le persone con cui entriamo in contatto, sia per scopi professionali che per pura affinità elettiva o più semplicemente perché ci si riconosce parte di uno stesso gruppo i cui membri condividono interessi, passioni o abitudini comuni (comunità di pratica).

L’introduzione intensiva da un paio d’anni a questa parte di piattaforme web capaci di accelerare e facilitare l’allargamento del proprio social network, ha reso possibile l’aggregazione di persone che prima, vicine o lontane che fossero, probabilmente non si sarebbero mai conosciute e che ora, non solo si conoscono, si riconoscono ed insieme creano sinergie con rapidità un tempo impensabile.
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LinkedIn, Xing, Facebook, Flickr, YouTube, Slideshare, Twitter, Wordpress…
…Sono solo alcuni dei nomi più comuni fra le piattaforme di social networking (alcune delle quali basate sulla produzione di contenuti da parte degli utenti - UGC). Queste consentono a vari livelli e su varie tipologie di target di creare quella fitta rete di relazioni che, in piena epoca Web 2.0, non sono altro che lo scheletro sul quale si generano contenuti e contributi che a loro volta andranno ad alimentare gruppi e comunità che – ufficiali o meno – spesso auto-generati e auto-gestiti, hanno come minimo comune denominatore brand, luoghi geografici, squadre sportive, passioni vintage, gruppi musicali, associazioni alumni, gruppi corporate e via dicendo.

Lo scopo di un social network è quello di alimentare la rete di relazioni. Deve, in pratica, accrescere la base di conoscenza (e quindi dei contenuti) sia in senso qualitativo che in senso quantitativo, affinché fare networking sia effettivamente utile ed aderisca così alle esigenze dettate dagli interessi dei singoli membri che nelle “conversazioni” che esso genera si aspetta di trovare delle risposte. Se dal punto di vista quantitativo, l’obiettivo principale risulta, allora, essere quello di aumentare il numero di contatti per allargare il proprio network, dal punto di vista qualitativo il fine è sicuramente quello di partecipare alle suddette “conversazioni” divenendo membri o fondatori di gruppi, che potremmo chiamare produser community (dal neologismo che identifica chi genera contenuti, i producers essendone contemporaneamente fruitori o utilizzatori, gli users, appunto).

Se però il gruppo ruota intorno al brand, al servizio o al prodotto di una determinata azienda, la produser community diviene prosumer community (producer+consumer). Il contenuto e il valore delle conversazioni e dalle relazioni che si instaurano fanno parte del valore stesso che il brand, il servizio o il prodotto sono in grado di offrire, identificando, così, ciascun membro della community, non solo come utente, ma anche come un consumatore. Consumatore sia dei contributi proposti, che di ciò che l’azienda offre – nel suo nome o in quello di uno dei suoi prodotti – riuscendo ad “inspirare”, e a “catalizzare” altri consumatori che hanno, così, l’opportunità di aggregarsi, conoscersi e quindi di creare nuove potenziali relazioni fra i membri della rete sociale e i singoli partecipanti.

Prevedere l’introduzione di questo nuovo modo di realizzare quello che già da tempo viene chiamato marketing relazionale, significa riuscire a studiare, a capire e, infine, ad identificarsi con il proprio target. Significa in pratica instaurare una relazione, aprendo un canale multidirezionale, che riguarda non solo il singolo interlocutore, ma che coinvolge anche chi ascolta e partecipa alla “conversazione” così generata.

ppOccorre prestare estrema attenzione al gruppo che si viene a formare, bisogna seguirlo, essendo presente non solo sui social network in senso stretto, ma anche sui blog e negli spazi web dove si condividono i contenuti stessi che riguardano, in qualche modo, il brand in questione. I membri della community infatti, si scambiano contributi multimediali, commenti, opinioni, si influenzano e soprattutto parlano. Anche off-line. Ecco che i gruppi, allora, assumono un’importanza maggiore facendo da volano virale alla produzione di “passaparola”, qualcosa che per credibilità supera anche la campagna pubblicitaria più efficace mai realizzata.

Se, per quanto riguarda i membri della community, siamo in grado di identificare il valore generato nell’allargamento del network e nell’attingere alla conoscenza degli altri, anche l’azienda , in modo analogo, beneficia del valore creato, vedendo nell’accrescimento del network un parametro per misurare l’awareness del proprio brand e nelle “conversazioni” una vera e propria fonte di conoscenza del proprio pubblico, avendo a disposizione una sorta di focus group permanente con cui affrontare temi strategici per il business dell’azienda.

Ma qual è il ROI generato da tale scelta comunicativa?
In termini economici, tutte le azioni fattibili con il web social networking sono praticamente a costo zero. L’investimento maggiore è quello relativo al tempo che, inevitabilmente, tali attività richiedono. Occorre poi attendersi risultati apprezzabili in tempi medio-lunghi, incrementati dalla decisione di lanciare i gruppi su più piattaforme social network based, coordinati in azioni congiunte, integrate e coerenti fra loro. Per ottimizzare maggiormente gli sforzi e l’impegno che tale attività richiede si può prevedere un sito che fa da referente per la community intera. Un blog su cui lanciare i propri temi in modo più fresco e informale (quindi credibile) di un classico comunicato stampa, potrebbe essere un’ottima base su cui raccogliere tramite widgets (web+gadgets: finestre ricollocabili che contengono applicazioni web come ad esempio RSS readers) tutte le informazioni riguardanti quello che accade nei singoli social network. La possibilità di proporre sotto un unico sito sia i temi affrontati che le informazioni relative ai nuovi iscritti al gruppo, permette di poter monitorare, seguire ed aggregare temi, contributi e consumatori che parlano una lingua comune, quella del brand.

Il valore generato dalle prosumer community, ha un prezzo, in termini culturali, ancora molto elevato per molte aziende. Come per qualsiasi novità introdotta dal trend “2.0”, occorre infatti un radicale cambio di mentalità: bisogna, infatti, essere disposti a mettersi in gioco. Trasparenza, fiducia ed apertura sono condizioni indispensabili per poter accettare oltre ai complimenti anche i commenti e le critiche. Critiche e commenti, sono infatti due componenti che se gestiti strategicamente e lealmente – riducendo il filtro al minimo solo in caso di offese e di toni poco rispettosi della suscettibilità degli altri membri della community – fortificano il rapporto di fiducia che in questo modo si costruisce e si alimenta giorno dopo giorno all’interno della community.

Usare le prosumer community come tattica vincente per una comunicazione più responsabile, efficiente (oltre che efficace) e che guarda favorevolmente e senza paura al modo di comunicare prossimo futuro, richiede molta più attenzione verso il proprio pubblico: occorre, infatti, alimentare i gruppi con contenuti e contributi interessanti mantenendo costantemente aperto un canale privilegiato con i membri della community.

Il social networking è una delle cose che il web 2.0 ha facilitato e reso economico ed alla portata di tutti. Tuttavia, chi si occupa di marketing e comunicazione non deve dimenticare che il numero di chi partecipa attivamente ai social network on-line, pur se in continuo e costante aumento, è ancora relativamente limitato per non considerare queste nuove tecniche un supporto, comunque efficace, ad una comunicazione off-line con cui si coordina e a cui simbioticamente si correla.

ppLo obiettivo principale che si raggiunge con l’utilizzo dei gruppi e degli altri strumenti che il web ci mette a disposizione, rimane quello di comunicare. Meglio, quello di far sì che a comunicare il messaggio non sia più solamente il promotore del messaggio stesso, ma che siano gli stessi destinatari a trasformarsi in emittenti. Altri strumenti “virali” riescono in questo intento. Il guerrillia marketing, ad esempio, così come il social network marketing – sia nell’off che nell’on-line – trovano il loro fine ultimo nel word of mouth.
Quel passaparola che da sempre (ancor prima dei tempi del “Perlana”), fin dalle origini, ha caratterizzato le relazioni fra individui diversi che, conoscendosi e riconoscendosi – detta alla Watzlawick – “non possono non comunicare”.