Numero 40 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Filastrocca patafisica del caos corporale

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di Raffaele Rizzo 25. 04. ’09

 

Ho fegato,
...spesso insieme a sgomento,
ho stomaco,
...unito a turbamento.
Sulla mia stessa pelle,
...sento e non sento niente.

Ormai, se chiudo gli occhi
...vedo quello che ho in mente.
Non sono un uomo avaro
...ma nemmeno alla mano.
Come vedi ho due orecchie
...che non son da mercante.
E sono uno deciso,
...ma non prendo di petto;
né con le unghie e i denti
...ho mai difeso niente.
Così, va detto, i piedi,
...non li ho piantati in terra.
Quando mi meraviglio
...non apro mai la bocca,
né mai, goccia di latte,
...mi scende alle ginocchia.
E che dir delle vene
...se d’acqua non son piene?
Se poi lento mi vedi
...è che ho le ali ai piedi.
Canto,  né mai una sola
...volta fu squarciagola,
e non mi si è drizzato
...un sol capello in testa.
Per non parlar del naso
...che mai fiutò un affare.
Certo che ho anche un culo,
...non per questo fortuna.
E pure avendo un pene
...non son testa di cazzo.
Infine ho in petto un cuore
...che non sa cos’è amore.

Ma allora di coerente,
...chiaro, senza rovello,
c’è soltanto il cervello?
...Ma ha un altro nome: mente!

 

Raffaele Rizzo vive e lavora a Napoli. Scrive per il teatro. Più recentemente, nel 2005, vince il concorso nazionale di microdrammaturgia di Porto San Giorgio con “L’ultima automobile”, rappresentata a quel festival. Vince anche la quarta edizione con “Quando le sedie di plastica bianca guardano le superstrade”. È stato presente, negli ultimi quattro anni, alla rassegna Museum teatro Napoli, organizzata da Libera Scena Ensemble, con suoi testi dei quali ha curato anche la regia. A maggio 2008 è invitato con il suo “Leggenda e cunto del libero merlo” al Festival Imaginarius di teatro di strada di S.M. La Feira, Portogallo. Si vanta di essere membro dell’Institutum Pataphysicum Phartenopeium col grado di Coordinatore Severissimo di Patapruriti oratori. Alcuni suoi lavori, in forma di teatro breve, animano serate patafisiche di quell’Institutum. Ha scritto “Le cipolle fanno ridere”: un bel libro di Calembours e manipolazioni linguistiche, molto apprezzato da nullafacenti e fannulloni (escluso forse Piccola Bruna).