Benefico Caos
di Laura Del Vecchio
A nessuno piace la confusione. Tanto meno il dubbio o l’incertezza. Quando ci troviamo confrontati a un evento che stravolge la nostra vita, immediatamente cerchiamo di riportare tutto sotto controllo. Ci accontentiamo anche della semplice illusione purché regni l’ordine. Cerchiamo qualcuno che ci dica che va tutto bene. Vogliamo essere rassicurati. E’ umano. Il caos spaventa perché destabilizza.
Quando perdiamo la comodità della nostra routine, quando ci sentiamo derubati di ciò che riteniamo nostro di diritto, è facile cedere alla tentazione di affidarsi a un nerboruto fratello maggiore che ci riporti a casa il maltolto e ci vendichi con il mondo. Se è vero nella vita privata lo è anche nella vita pubblica.
La comunità internazionale ha reagito alla congiuntura economica invocando un ritorno alle regole e non solo della buona finanza perché la crisi dei mercati ha tolto valore non solo ai titoli azionari ma anche alle persone. Se si è tornati a parlare di etica è perché è mancato il rispetto delle norme di base del vivere civile. Anche da noi si è sentito il bisogno di ridiscutere i termini stessi del vivere comune ma solo perché la convivenza in regime di ristrettezza si è fatta difficile. Invece di rimboccarsi le maniche a pensare a un nuovo modello di sviluppo, si è rimasti a guardare sperando che per incanto il vociare si quietasse. Che per magia l’ordine, qualunque fosse, si ripristinasse.
Un manager giapponese che aveva vissuto per 12 anni a Milano e di cui tradussi tempo fa il resoconto1, mi aveva confidato del senso di solitudine provato in Italia. Mi spiegava come in Giappone la società sia costruita allo stesso modo dell’ideogramma “uomo” – due tratti poggiati l’uno all’altro – e cioè secondo un sistema di “mutuo soccorso” per sovvenire ai bisogni di ciascuno: così facendo ognuno si appoggia all’altro di fatto sostenendolo. Mi faceva notare come la nostra società sia fatta invece di individui soli, in costante conflitto, ognuno a tirare la coperta dalla propria parte. Naturalmente ogni sistema ha i suoi limiti, ma anche il proprio punto di stabilità. In quello giapponese l’equilibrio è fatto di pesi, nel modello italiano – e occidentale in genere – l’equilibrio è fatto di forze. La differenza è nella dinamica. Ebbene, nella situazione attuale, con il modello di società in vigore, da noi è tutto un tira e molla. Visto poi che il conflitto è maggiore man mano che ci si allontana dal punto di equilibrio, dove cioè le forze si fanno ineguali, ci troviamo tutti – potenti o meno – a essere strattonati.
La cosa più grave è che si è ormai così lontani dall’equilibrio che alcuni arrivano a sperare che il più forte tiri tutti dalla sua: che si finisca pure a gambe all’aria come in un gigantesco tiro alla fune purché non ci sia più da faticare. Già, perché nel mondo della speculazione finanziaria, delle veline e dei calciatori si è dimenticato che ogni tanto bisogna anche andare a seminare se si vuole poi mietere qualcosa. Diventa più facile delegare a chi si propone potente tanto da farci riempire le tasche senza pagare le tasse. A chi promette di fare la voce grossa e di far tacere ogni diversa istanza. C’è chi preferisce affidarsi a chi rassicura con belle promesse anche se insensate.
A mio vedere tutto nasce da un malinteso: che possa esserci benessere nella sopraffazione. Nel sistema attuale solo la contrapposizione di forze di pari intensità porta all’equilibrio. Solo così le soluzioni sono condivise, frutto di compromesso certo, ma stabili. Che il caos vada governato con regole fa parte del gioco. E’ proprio ciò che distingue la democrazia dalla barbarie. Le regole di certo limitano ma solo in funzione del confronto di cui sono il custode. Un organismo è in salute se tutti i suoi organi sono sani. Allo stesso modo una società è stabile se tutela ogni suo componente. Se invece si fa sorda verso alcuni, se discrimina nella fruizione dei diritti, se fa silenzio non con la persuasione ma con la censura, in breve si disgrega. L’equilibrio è illusorio. La stabilità non tiene. La sensazione di forza presto svanisce. Il benessere non condiviso impoverisce.
La soluzione giapponese di un vivere convergente e armonico mi è più congeniale di quella occidentale, divergente e conflittuale. Ma ben venga il conflitto, il contrasto aperto e persino la bagarre in Parlamento perché al momento sono l’unica garanzia di rispetto dell’individuo e del suo diritto di esistere e di pensare. Benedetto sia il caos e l’incertezza se ordine e sicurezza vogliono dire morte della libertà e della coscienza civile.
Aula del primo parlamento italiano, Palazzo Carignano e Museo del Rinascimento
In alto, in una lapide, si possono leggere le seguenti parole: "Quest'aula, dove i rappresentanti del popolo subalpino costantemente cospirarono sotto gli auspici della casa Savoia a preparare l'unità d'Italia lasciando l'esempio delle più grandi unità civili e politiche fu dichiarato monumento nazionale con decreto del 04/03/1898"
1 Kobayashi Hajime L' Italia tra piacere e dovere. Lo stile manageriale italiano agli occhi di un giapponese - Franco Angeli Editore, 2001
Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni.