La conoscenza elimina la paura
(conoscere per valutare)
di Franco Marmello
Il verbo conoscere deriva dal latino classico conoscere attraverso una forma intermedia, semplificata: conoscere appunto. In realtà, la forma conoscere non è attestata dalle fonti antiche, ma possiamo ricostruirla sulla base della concordanza dell'italiano con molte altre neolatine tra cui lo spagnolo conocer, il francese connaître, il rumeno cunoaste. La parola ha mutato poco il suo significato dal XIII secolo a oggi, perdendo soltanto il valore di riconoscere che si può notare in alcune attestazioni antiche.
Per conoscere si intende il processo mediante il quale apprendiamo nozioni. Il verbo quindi fa riferimento in primo luogo all'acquisizione, attraverso l'intelligenza, di contenuti mentali, come pensieri e idee.
Con la stessa parola si indica l'esperienza sufficientemente approfondita e chiara di aspetti della realtà. Con queste definizioni da manuale (naturalmente tratte dalla inesauribile fonte di internet) inizia la mia riflessione sulla conoscenza. Il problema di chi conosce, però, é quello di mettere in pratica, di rendere la sua vita migliore poiché conosce. Per esempio: avere più parametri di valutazione per confrontarli con la realtà che ci appartiene, che ogni giorno ci sorprende e spesso aggredisce, che ci richiede una risposta in tempo reale per risolvere un problema. Conoscere e avere più parametri per "giudicare" in questo caso é vitale.
Tutti noi che ci occupiamo di comunicazione abbiamo cercato di imparare e trasmettere il concetto di SAPERE per SAPER FARE e infine SAPER ESSERE. Un magnifico processo per celebrare il prezioso consiglio di Erich Fromm sull'essere anziché avere...
ma non é facile Sapere é possibile, ma bisogna studiare. Saper fare é faticoso. Saper essere richiede un costante mettersi in discussione, e spesso la nostra presunzione ed eccessiva importanza personale arrestano il processo. Per semplificare il mio intervento, tento la descrizione di un caso. Sono un formatore, vivo costantemente in aula, a confronto con sconosciuti. Il mio obiettivo é dare forma a ciò che è informe, tenendo conto che nessuno però accetta di essere imperfetto).
Nei percorsi di formazione -come afferma spesso Caltabiano, presidente nazionale AIF - ogni persona apprende in modo differente sulla base del proprio stile di vita, del proprio modo di elaborare e rielaborare le informazioni; sulla base delle proprie motivazioni intrinseche; sulla base del vivere sensorialmente la propria esperienza soggettiva. L'apprendimento viene quindi a connotarsi di diverse declinazioni e la formazione -ponendo al centro la persona come individuo unico e irripetibile- perlustra le differenti fonti generative dell’imparare, cogliendone anche gli aspetti ludici e divergenti. Un buon formatore deve quindi sapere e considerare che la poesia, la musica, la danza, il teatro, il cinema, lo sport e altre attività umane, di antica o più recente natura, hanno il potenziale di acquisire un importante rilievo all’interno dei percorsi formativi; nella consapevolezza che tanto maggiori sono il piacere e le motivazioni ad apprendere, tanto più facile ed interessante sarà per la persona acquisire conoscenze e generare nuovi comportamenti e capacità.
Con questa introduzione Pier Sergio Caltabiano, Presidente Nazionale AIF, annuncia di solito le giornate nazionali di incontro, con lo scopo di fornire ai formatori italiani nuovi spunti sulle modalità didattiche. Questi spunti vengono dal confronto, dai tavoli di lavoro, dai work-shop di lunghe giornate di studio mirate a stimolare la definizione di nuovi paradigmi per andare oltre la formazione apparente. Pensare presuntuosamente di conoscere per noi formatori e definire modalità didattiche standard in questo scenario mutato e spesso privo di veri riferimenti. presenta forti rischi di copertura non capillare del messaggio inviato in aula. La storia della formazione nel nostro paese ci ha visto passare dall’aula classica (comunicazione a un solo senso di marcia), all’aula partecipante (discussione, brain-storming), passando per i nuovi strumenti didattici: slides, audiovisivi; fino ad arrivare al role-playing e al coinvolgimento totale dello psicodramma. Il fine è stato inseguito in tutti i modi: tirare fuori emozioni costruttive in grado di rappresentare un sistema di comunicazione universale capace di convogliare le energie dell’ascolto e ancorare le conoscenze nelle zone operative sensoriali di chi ascolta. In aula ci sono i pigri che non dobbiamo affaticare con lunghe spiegazioni, altrimenti non ci seguono; ci sono gli imitatori che hanno bisogno di sentire esempi di altre realtà per convincersi che quanto viene loro proposto in aula è già stato fatto con successo; abbiamo gli eccessivamente fieri (a milan bauscia) che vanno coinvolti spesso poiché hanno bisogno di sentirsi protagonisti più degli altri; ci sono i diffidenti che non dobbiamo invadere nè spaventare e per i quali dobbiamo citare dati assolutamente attendibili; ci sono gli speculatori per i quali dobbiamo fare emergere le convenienze reali dei mutamenti che proponiamo; ci sono gli insicuri che dobbiamo continuamente tranquillizzare senza svelare a tutti che abbiamo visto oltre la loro maschera; ci sono i coccoloni bisognosi di continui stroke; ci sono gli avventurieri con i quali possiamo osare coinvolgimenti coraggiosi; ci sono gli esclusivisti che cercano modi personalizzati di apprendimento.
L’irrinunciabile sistema di comunicazione universale sopra citato non può emergere, pertanto, da una impostazione rigida e blindata.
E’ compito del trainer in aula conoscere tutte le modalità e saperle dosare, tarare situazionalmente allo scopo di raggiungere tutti.
Un buon formatore deve saper ricostruire in aula l’agorà greca per tirare fuori - da apprendista maieuta (stregone?-il meglio da ognuno; deve saper guidare il brain-storming più acceso e confuso di quella giornata; deve saper organizzare tavoli di lavoro anche non programmati dal lay-out del percorso di formazione progettato, inventarsi un work shop, formare gruppi e sottogruppi all'improvviso poiché il clima d'aula lo richiede; deve procurarsi i testimonial giusti; usare all'occorrenza la vecchia lavagna a fogli mobili perché il nero su bianco in quel momento potrebbe fare il suo effetto; deve sapere sollecitare emozioni con un power point il meno didattico possibile; deve trovare e proiettare i film didattici più affascinanti per quella componente d'aula; deve animare la classe -quando il momento lo richiede- con ritmo, metafore, esempi essoterici; fondamentale che il formatore sappia di economia, di società, di politica; importante il suo aggancio puntuale alla cronaca, ai comportamenti, ai problemi reali; concrete e non patetiche le storie di successo da narrare in aula, antiche e moderne. Determinante in aula la capacità del trainer di entrare in simpatia ed empatia con tutti, di stimolare gli apatici, di avvicinare gli spigolosi e gli antipatici...
L’intelligenza é vastità
assume sempre più nel mondo moderno
una qualità spaziale
Essere intelligenti oggi significa
convivere naturalmente
con idee misurate sul metro del mondo
...
Guido Piovene
Franco Marmello: Membro AIF Associazione Italiana Formatori , Responsabile Italia “Bottega del Cambiamento”, Giornalista, scrittore. Il progetto bottega si rivolge all'Uomo Nuovo in Azienda: una risorsa consapevole della complessità organizzativa provocata dal fenomeno del cambiamento, consapevole di dover crescere in modo meno empirico rispetto al passato, sia sul piano professionale che sul piano umano.
www.bottegadelcambiamento.it