Numero 47 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

La creazione e la trasmissione del sapere in Giappone Il concetto di ba nella gestione della conoscenza

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di Laura Del Vecchio

 

Negli anni in cui ho vissuto in Giappone ho sperimentato tanto sul lavoro che nella vita privata come la trasmissione  - e quindi  la produzione  - della conoscenza possa farsi per osmosi. Ciò è possibile grazie alla convinzione radicata in quella società che il sapere per essere tale debba  essere condiviso: come una mano non può fermare l’acqua di un fiume così l’informazione deve essere lasciata libera di fluire. Non solo metterla sotto chiave sarebbe vano ma addirittura qualificabile come distruttivo. Come l’acqua stagnante imputridisce così l’informazione trattenuta perisce, perde la capacità di creare sapere, diventa inutile e inutilizzabile. Se ci si abbevera a una tale fonte, il sapere che ne deriverà sarà esso stesso malsano, obsoleto. Le osservazioni sulla realtà diventano informazioni quando vengono messe a confronto con un obiettivo. La conoscenza vive grazie alla comunicazione che è a sua volta condizione alla creazione del sapere.

Da noi è invece spesso convinzione diffusa che l'informazione “riservata” equivalga a potere. Ne consegue che per concentrare potere su se stessi – o dare l’impressione di averne - si cerchi di essere i soli a sapere una data cosa. Niente di più sbagliato o almeno secondo quanto radicato in Giappone, società  in cui è escluso che la produzione del sapere avvenga in maniera individuale e autonoma. In “segretezza”. Da ciò il concetto di ba nella trasmissione della conoscenza.

Mi spiego: tanto per fare un esempio, il dojo (道場) – termine noto ormai anche da noi specie tra chi pratica un arte marziale - è un ba (場): uno spazio, in questo caso fisico, capace di stimolare e di attivare, da un lato, l’individuo in ognuna delle sue capacità tanto fisiche che intellettive, e, dall’altro,  di superare i limiti di quelle stesse capacità esaltando le potenzialità della comunità dei praticanti nel suo insieme. Il concetto di ba – di luogo condiviso – è alla radice di un processo dinamico che grazie alla relazione con l’altro consente di superare i limiti dell’individuo. Si viene a creare una sorta di distillato di sapere prodotto in quello spazio comune e generato da una comunanza di intenti. Gli strumenti informatici amplificano i segnali deboli ed estendono quello spazio condiviso. Ottimizzando il flusso dell’informazione contribuiscono ad abbattere le frontiere e a creare una zona franca in cui si raccoglie una comunità  liberata dai vincoli della storia e dai limiti fisici di un organizzazione. Alla struttura si sostituisce un ideale o un progetto che diventa l’unico collante.

In passato organizzazioni come  università, imprese o la  società nell’insieme erano i soli spazi  in cui la creazione, il trattamento e la trasmissione dell’informazione diventavano sapere e mezzi di produzione. Con l’estensione della nozione di comunità alla dimensione del virtuale si fa pressante il passaggio a quello stato di coscienza superiore che solo può consentire il progresso. Le tecnologie dell’informazione consentono oggi di avere accesso ad una massa enorme di dati, su scala mondiale e in tempi brevissimi. Si tratta spesso di  dati elaborati  in contesti culturali molto diversi rispetto a quelli in cui finiranno per essere usati. Perché possa nascere un  fronte comune della conoscenza diventa necessario lasciare emergere  le individualità in quanto singolo, organizzazione o nazione per poi spogliarsene. Il concetto di  ba  ne suggerisce le modalità. Esso ha infatti il merito e il vantaggio di indicare le condizioni umane organizzative e relazionali  che consentono di sfruttare al meglio le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Sarebbe interessante riflettere sull’applicabilità del concetto di  ba ad organizzazioni e contesti culturali non giapponesi. Di certo un Obama che fa campagna sul Web e i fenomeni di aggregazione sociale, politica e culturale attraverso Facebook sono sintomo di una nuova mentalità.

Un proverbio zen ricorda che non si può versare il tè in una tazza che non sia stata prima completamente svuotata.

 

 

Laura del Vecchio: Due lauree, Giurisprudenza con tesi in Economia a Roma e Commercio Internazionale a Le Havre; due specializzazioni, in Economia dei mercati asiatici e in Comunicazione; due esperienze “in azienda” come export manager per Fiat Auto Japan e per Danone; due esperienze “di penna” al quotidiano economico “Nikkei” e all’ISESAO della Bocconi: un “saper scrivere e far di conto” che ha finito per trovare buon uso all’Istituto nazionale per il Commercio Estero. Nata il 13 settembre del 1968: da poco compiuti…. due volte vent’anni