Numero 47 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Un Knowledge Management a misura d'uomo

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di Simone Piperno

 

Quando l'ingegner Monti e Barbara Herreros mi hanno chiesto di scrivere un articolo sul tema della gestione della conoscenza (knowledge management), sono stato contento di partecipare al progetto che stanno costruendo, sia per la passione e l'impegno che li contraddistinguono, sia perché mi sono interessato a questo tema proprio durante l'esperienza professionale che ho svolto alla Gemini Europa.

Quando sono entrato alla Gemini Europa, stavo frequentando un corso biennale di specializzazione in analisi e gestione della comunicazione pubblica e d'impresa, dal quale stavo traendo le basi teoriche per il mio percorso, ma senza la concretezza, da un lato, e la creatività dall'altro, che mi sono state trasmesse durante l'esperienza professionale che ho vissuto, non avrei certamente consolidato la mia crescita come ho fatto.

Il mio lavoro alla Gemini è stato centrato proprio sul tema della gestione delle informazioni e della conoscenza internamente e verso l'esterno, attraverso la riprogettazione della rete intranet, la gestione dei flussi di comunicazione interna, processo importante soprattutto per una società di consulenza nella quale le persone pur lavorando a distanza, devono condividere comunque e necessariamente metodi, approcci ed uno stile di comunicazione e di consulenza comune; inoltre il mio compito comprendeva lo sviluppo della comunicazione esterna, attraverso la ristrutturazione dei siti web e della newsletter, che abbiamo trasformato proprio in questa rivista.

Di solito scrivo su Caos Management articoli sulle tecniche utili a facilitare l'innovazione e il cambiamento nelle persone, attraverso tecniche di coaching, creatività, comunicazione avanzata, che rappresenta ciò di cui mi occupo in questi anni; qui, però, colgo l'invito della redazione e vi parlerò di Knowledge Management, dividendo il mio articolo in due parti; in questo darò una definizione e descriverò questa metodologia attraverso una carrellata tra gli autori che l'hanno sviluppata ed influenzata nel corso di questi anni. Nel prossimo numero vi parlerò della metodologia che utilizzo nel mio lavoro, il coaching creativo, che tra le sue finalità principali ha quella di sostenere le persone nella ricerca delle informazioni attraverso cinque fasi consecutive e consequenziali: (1) la ricerca delle informazioni, la loro (2) decodifica, interpretazione e classificazione, (3) l'elaborazione delle soluzioni e delle alternative, (4) la produzione di una strategia e di un piano d'azione e (5) il feedback per ottenere informazioni di ritorno e cioè sui risultati del proprio lavoro.

La ricerca, per darvi un anticipo di quello che vi dirò nel prossimo numero, riguarda sia le informazioni “interne” e cioè esperienze, motivazioni, capacità, talenti, conoscenze, obiettivi e sogni, sia quelle “esterne”, sull'ambiente e le risorse potenzialmente utili; la decodifica permette di classificare tali informazioni sulla base di uno o più criteri scelti, utili alla realizzazione dell'obiettivo che ci si è posti.

Il processo di definizione dell'obiettivo, infatti, costituisce sempre il primo passo da compiere nel coaching creativo ed anche se tale base verrà modificata, calibrata, specificata, rappresenta comunque il punto di partenza fondamentale. La terza fase, quella dell'elaborazione, prevede una serie di tecniche che aiutano a rimodellare e rigenerare creativamente le informazioni classificate, per avere un ampio ventaglio di idee, soluzioni ed alternative possibili da utilizzare al momento opportuno. Nella fase successiva, la quarta, si progettano una strategia ed un piano d'azione utili a perseguire l'obiettivo e ad utilizzare al meglio le informazioni e le idee disponibili; infine, si procede con l'individuazione di meccanismi di feedback per conoscere “in progress” i risultati del piano d'azione e poterli misurare costantemente.

Dopo questa breve sintesi sul coaching creativo, con la quale spero di avervi confuso le idee il più possibile.... almeno sarete incuriositi e attenderete il prossimo numero di Caos Management per capirne qualcosa di più…. passiamo al Knowledge Management in senso classico, attraverso le parole dei suoi interpreti principali. Uno dei nodi prevalenti di questa tematica riguarda la corretta calibrazione tra l'investimento da compiere sulle persone e quello in tecnologie; come avrete notato la mia attività si svolge prevalentemente sulle persone, quindi sono un po' di parte nell'esprimere un giudizio, quindi lascerò parlare chi ne sa più di me, esprimendovi il mio pensiero in poche parole.

yyIl Knowledge Management ha incontrato delle difficoltà notevoli ad affermarsi come strumento concreto e finalizzato ad incrementare i risultati aziendali e produrre valore, perchè, secondo la mia esperienza, le aziende si sono impegnato spesso in investimenti eccessivi su elementi tecnologici che finivano per essere troppo complessi per essere gestiti dalle persone. I processi di knowldge management sono stati focalizzati sugli strumenti tecnologici più che sulle persone, per questo intendo mettere in luce le opinioni di alcuni studiosi che si occupati di questo argomento.

Tra questi spicca il nome di Ikujiro Nonaka, professore alla Berkeley University e precursore di una ampia schiera di autori giapponesi che hanno affrontato questo argomento, come Kazuo Inumaru e Yogesh Malhotra.

Dallo stesso Malhotra possiamo trarre una prima riflessione sul significato di KM, che sottolinea il necessario legame tra tecnologia e capacità umana nella riuscita di un’efficace gestione della conoscenza all’interno di un’organizzazione: “Knowledge Management riguarda gli argomenti chiave dell'adattamento organizzativo e della competenza, a fronte ai continui e discontinui cambiamenti a cui stiamo assistendo. Essenzialmente, riguarda processi organizzativi che necessitano di combinazioni ed integrazioni sinergiche di dati ed informazioni tra gli strumenti tecnologici e le capacità creative ed innovative delle persone”.

Kazuo Inumaru, poi, ci suggerisce questa definizione di KM e del suo ruolo nel processo di creazione di valore e nell’incremento della produttività in un‘impresa: “La conoscenza è diventata una parola chiave per il management. In passato le risorse di cui un’azienda doveva disporre erano tradizionalmente tre: persone, denaro, impianti. Oggi la conoscenza, definita come informazioni che hanno valore, è considerata una risorsa che coordina le altre tre, fornendo un valore aggiunto utile per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Questo modo di ottenere nuovo valore consiste nell’integrazione e nella condivisione sistematica delle conoscenza che ogni dipendente ha con quelle dell’organizzazione.

Chiamiamo Knowledge Management la metodologia di gestione della conoscenza. Lo scopo consiste nell’incrementare la competitività aziendale attraverso una gestione del processo più consapevole e controllata. In un’azienda dove il KM funziona bene, i lavoratori condividono le conoscenze provate valide dall’esperienza e il Know How che hanno ottenuto sul lavoro contribuendo così a incrementare la produttività e la competitività”.

Come detto, Inumaru si ispira al modello di Knowledge Management elaborato da Ikujiro Nonaka e le fondamenta di questo modello sono: costruire informazioni con un valore e condivise da tutta l’organizzazione, “la conoscenza, a differenza delle informazioni, riguarda le convinzioni e il coinvolgimento”.

La conoscenza, continua Inumaru, può suddividersi in “ciò che è individuale, soggettivo ed empirico (esperenziale) e ciò che è sociale, oggettivo e teorico”, in altre parole, riprendendo quanto teorizzato da M. Polany, la conoscenza può essere “esplicita” o “tacita”.

Quest’ultima, secondo Nonaka, è "altamente personale e difficile da formalizzare e fa comunicare e condividere con gli altri".
Questa distinzione, però, non impedisce ad entrambe le tipologie di conoscenza di interagire tra loro nello svolgersi dei processi aziendali, cosicché “la conoscenza, seguendo questo processo progressivo, cresce e matura da individuale a organizzativa”.

Dalla teoria di Nonaka, inoltre, possiamo ricavare quattro tipologie di KM:

  • “Kaizen: Competenza nell’incrementare l’efficienza nella gestione delle attività aziendali, condividendo e utilizzando il patrimonio della conoscenza”;
  • Incremento di valore: La generazione di profitto attraverso il patrimonio della conoscenza;
  • Concentrazione di risorse: La concentrazione organizzativa di conoscenze che attualmente sono disperse nella struttura;
  • Unione di risorse: Lo sforzo di rendere attivi lavoratori e clienti all’interno e all’esterno della struttura creando relazioni e reti”


E quattro metodologie per la sua realizzazione in un’impresa

    • Condivisione delle best practice: Incremento dell’efficacia tramite la condivisione e il trasferimento della conoscenza, attraverso l’apprendimento generato dall’analisi delle operazioni quotidiane e il Know How derivante dai casi di successo interno all’azienda;
    • Rete di conoscenza specializzata: Collegare, ad esempio in una rete globale, le varie persone dotate di delega del potere decisionale e di conoscenza specializzata all’interno e all’eterno dell’organizzazione, per risolvere problemi o prendere decisioni specifiche. Questa unione permette di superare la sommatoria delle conoscenze esistenti a livello individuale, raccogliendo, quando necessario, le conoscenze in tempo reale, per far questo è necessario creare un campo di condivisione della conoscenza che utilizzi strumento come la posta elettronica e i groupware, social network specializzati;
    • Capitale di conoscenza: Generare profitto utilizzando all’interno e all’esterno dell’azienda il patrimonio di conoscenza che può essere trasformato in valore economico. I brevetti e le licenze, i diritti d’autore, i marchi aziendali sono definibili come patrimonio di conoscenza;
    • Condivisione della conoscenza con i clienti: Fondamentale è la condivisione della conoscenza con il cliente, oppure l’offerta continua di conoscenza al cliente abituale. All’interno di una struttura organizzativa aziendale virtuale, il cliente deve essere inserito consapevolmente;”.

    Un altro elemento di grande interesse presentato da Nonaka, riguarda il ruolo del top management in un processo di KM, per cui il compito più critico da parte della leadership è “concettualizzare una vision circa il tipo di Knowledge da sviluppare e da rendere operativa nell’implementazione di un sistema di gestione”.

    La vision elaborata dal top management permette di legare i membri dell’organizzazione a obiettivi e compiti flessibili.

    In questo modo si tenta di limitare la rigidità imposta da un sistema di management by objectives, che troppo spesso conduce ad una demonizzazione dell’errore, in favore di un’impostazione dialettica, che non mira al semplice raggiungimento di obiettivi prestabiliti, ma alla progettazione degli obiettivi e dei compiti più adeguati alla realizzazione della “visione” dell’organizzazione: “individui e gruppi di lavoro all'interno di organizzazioni che sviluppano conoscenze, fissano le loro attività in autonomia per realizzare gli scopi espressi nella vision dell'organizzazione”.

    Nonaka, quindi, ha enfatizzato l’aspetto che soltanto gli uomini possono generare conoscenza, mentre i computer sono soltanto strumenti, per quanto grande possa essere la loro capacità di elaborare informazioni.

    Già più di vent’anni fa, West Churchman, uno dei precursori tra i teorici dei sistemi informatici, affermava che la conoscenza risiede nei suoi utilizzatori e non nel complesso delle informazioni.

    La riflessione di Nonaka, parte dalla premessa che la conoscenza è “contenuta” nelle persone e non nei sistemi informatici, modificando, in tal modo, la concezione proposta negli ultimi anni da molti addetti ai lavori che ingenti investimenti nell’IT conducono a performance crescenti.

    Erik Brynjolfsson, Professore alla MIT Sloan School, conferma questa tesi: "La stessa quantità di denaro spesa per un medesimo sistema può fornire un vantaggio competitivo ad un’impresa, ma soltanto carta straccia ad altri. Questo perchè un fattore chiave per elevati ritorni economici da innovazione nell’IT, è l’efficace utilizzo delle informazioni che riguardano le performance dell’organizzazione. Come gli executives dovranno fare per individuare tale efficace utilizzo delle informazioni rimane una questione aperta”.

    Sullo stesso argomento e con le stesse conclusioni si sono espressi Paul Strassmann, economista, autore di vari volumi sull'argomento tra i quali una pietra miliare come “The Squandered Computer” e John Seely Brown, Direttore dello Xerox Park Research Center in Palo Alto, California, che sottolinea, ad esempio dell’articolo “Sustaining the Ecology of Knowledge” come negli ultimi 20 anni le aziende a capitale USA hanno speso centinaia di milioni di dollari in investimenti IT realizzando però miglioramenti insignificanti per la conoscenza dei lavoratori.

    “L’epoca in corso”, analizza Brian Arthur, Preside della Facoltà di Economia e Studi Demografici alla Stanford University “e’ di transizione tra un’economia basata sulle informazioni e una basata sulla conoscenza. Nel primo periodo i sistemi informativi si basavano su ricette programmabili per il successo ed erano in grado di rispondere alle premesse di efficienza basate sull’ottimizzazione sulla base di predizioni, mentre ora sono centrali la capacita’ di adattamento e di previsione sulla base delle conoscenze acquisite sviluppare la capacità di adattamento rispetto a quella di predire”.

    Arthur ritiene che il mondo dell’impresa basata sul Knowledge è caratterizzata sul "re-everything" e cioè la continua ridefinizione di scopi, obiettivi e pratiche organizzative.
    Le imprese competono in un mercato caratterizzato da cambiamenti radicali e discontinui e che richiede un ciclo sempre più rapido tra la creazione della conoscenza e la capacità di metterla in pratica, attraverso l’interpretazione dinamica delle informazioni generate dai sistemi informatici.

    Oggi, però, il mondo degli affari non premia l’utilizzo di regole predefinite, quanto la comprensione e l’adattamento alle regole del gioco, nello stesso momento in cui il gioco stesso continua a cambiare

    Secondo Senge e Argyris, questo non è ancora tutto, in quanto la capacità di adattamento è soltanto il primo gradino, mentre le aziende hanno bisogni di focalizzarsi su un apprendimento a doppio binario, “Double- loop learning”.

    Le imprese che creano conoscenza, “Generative learning”, enfatizzano la sperimentazione e il feedback nell’esame continuo della strada lungo la quale un’organizzazione definisce e risolve i problemi.

    Argyris, come ha espresso nel testo “On organizational Learning”, ritiene che imprese di questo tipo debbano possedere un “pensiero sistemico”, “una visione condivisa”, “apprendimento dal team” e ”tensione creativa”. Quando le imprese, al contrario, si concentrano sulla risoluzione dei problemi nel presente, senza esaminare l’appropriatezza degli attuali sistemi di apprendimento, agiscono nei termini del miglioramento continuo basato sulle esperienze di successo.

    Per mantenere la loro capacità di adattamento, suggeriscono Senge e Argyris, le organizzazioni devono essere capaci di sperimentare ed essere “self design organization”, mantenendosi in uno stato di frequente, quasi continuo cambiamento di strutture, processi, campi e obiettivi.

    Karl Erik Sveiby, l’autore di “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, sostiene che la “confusione tra conoscenza e informazione ha portato molti manager ad investimenti milionari sulle tecnologie informatiche, che, però, hanno condotto a ritorni economici marginali”. Sveiby afferma che i manager devono comprendere che al contrario delle informazioni, la conoscenza è contenuta nelle persone, e lo sviluppo di tale conoscenza avviene all’interno del processo di interazione sociale.

    Donald Schon, infine, riapre davanti a noi le difficoltà, i dubbi all’interno della teoria sul Knowledge Managemente i passi in avanti che è ancora necessario compiere per rendere “La diminuzione della stabilità significa che la nostra società e tutte le sue istituzioni vivono in un continuo stato di trasformazione, né possiamo aspettarci una nuova stabilità che possa durare per tutta la nostra vita. Dobbiamo imparare a capire, guidare, influenzare e gestire tali trasformazioni. Dobbiamo acquisire la capacità di rendere utili queste trasformazioni a noi stessi e alle nostra istituzioni. Dobbiamo, in altre parole, assumere l’attitudine all’apprendimento. Dobbiamo essere capaci non soltanto di trasformare le nostre istituzioni, in risposta dei cambiamenti; dobbiamo creare e sviluppare istituzioni che siamo ‘learning systems’, e cioè sistemi capaci di apprendere dalla loro continua trasformazione.

    L’obiettivo che la perdita della stabilità rende imperativo, per le persone, per le istituzioni, per la nostra intera società, è apprendere ad apprendere.
    Qual è la natura del processo per cui organizzazione, istituzione e società si trasformano?

    Quali sono le caratteristiche di un efficace learning systems?

    Quali ostacoli incontra chi vuole sperimentare tale forma di apprendimento?”.

    Questa sono alcuni degli interrogativi che la ricerca dovrà affrontare per rendere efficace il processo di Knowledge Management all’interno di imprese ed istituzioni; per far questo è fondamentale che organizzazione ed individui acquisiscano l’attitudine all’apprendimento e la flessibilità adeguata per rispondere tempestivamente ai cambiamenti che la nostra epoca ci propone ed impone con un ritmo sempre più serrato.

    Nel prossimo numero vi parlerò di come procedere concretamente con il coaching creativo in un percorso di potenziamento delle capacità personali di gestione della conoscenza e delle informazioni, come anticipato nella prima parte di questo articolo.

    Foto: Prof. Ikujiro Nonaka

     

     

    Simone Piperno: si occupa di formazione e di coaching perché la condivisione delle conoscenze e la crescita personale costituiscono il suo interesse più profondo e la sua passione nel lavoro. Pubblicato il primo libro, con F. Angeli, intitolato "Coaching Creativo. Tecniche per la crescita, l'innovazione, il cambiamento personale ed aziendale", con Maria Rita Parsi e Massimo Del Monte. Il Coaching Creativo ha come obiettivo lo sviluppo e il miglioramento delle capacità creative nelle persone e nei gruppi, attraverso una metodologia e delle tecniche originali e con l'integrazione delle tecniche classiche per lo sviluppo del pensiero creativo, come potete vedere sul suo blog:
    http://simonepiperno.blogspot.com/ e sul sito: http://www. coachingcreativo.com