Numero 74 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

La transazione

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di Vincenzo Porcasi

 

Il codice civile disciplina la transazione all'articolo 1965, definendola "contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può insorgere tra loro", chiarendo al secondo comma che oggetto della transazione possono essere anche "rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti".
In maniera analoga, Rubino - Sammartano definisce la transazione come 7/ negozio attraverso il quale le parti pongono fine ad una controversia già insorta o che potrebbe insorgere, e consiste nell'adozione di una soluzione che contenga l'elemento essenziale dell'aliquid datum e dell'aliquid etentum".
Non costituisce transazione, ma arbitrato irrituale l'accordo con il quale le parti, invece di transigere la lite fra di loro, conferiscono ad un terzo il mandato di risolvere la controversia.
In mancanza di reciproche concessioni (per esempio quando una delle parti riconosce la piena fondatezza delle pretese della controparte) non siamo in presenza di una transazione.

Il negozio di accertamento
Il negozio di accertamento è volto ad eliminare le incertezze che riguardano un preesistente rapporto giuridico.
Con esso le parti si obbligano ad ottemperare al preesistente rapporto giuridico, così come esso verrà definito dal negozio di accertamento. Si tratta quindi di uno strumento di autocomposizione. Il d.Igs. 40/06, intervenendo sul punto, ha opportunamente eliminato ogni incertezza sulla natura dell'arbitrato voluto dalle parti, stabilendo che se le parti non hanno espressamente stabilito che la controversia venga definita dagli arbitri con determinazione contrattuale, si applicano le norme previste per l'arbitrato rituale (vale a dire in dubio prò arbitrato rituale). Sotto la vigenza del testo ante riforma capitava che le parti (ma più spesso solo una di esse, ostaggio degli scopi dilatori di controparte) dovessero ricorrere in Cassazione per veder stabilito, sulla base della dizione adottata nel compromesso, se esse stesse avessero inteso adire un arbitrato rituale o irrituale.
Da menzionare infine che si ritiene applicabile anche all'arbitrato irrituale che alla mediazione la disciplina della ricusazione degli arbitri.

L'arbitrato estero
L'ordinamento italiano distingueva sino alla recente riforma l'arbitrato interno da quello estero.
L'arbitrato interno (o nazionale, o domestico) era contraddistinto dal fatto che il procedimento si svolgeva su suolo italiano e secondo le norme del codice di rito italiano, ricadendo viceversa nella categoria di arbitrato estero (o straniero), quello che non rispondeva a tali requisiti. Tale criterio, chiaro a prima vista, nascondeva in realtà molte insidie. Come stabilire la nazionalità di un procedimento?
Le convenzioni internazionali privilegiano solitamente il criterio territoriale, dando rilevanza al luogo dove è stato adottato il lodo arbitrale.
Tuttavia a volte si deroga a tale criterio, preferendo adesso quello procedurale il quale determina la nazionalità del procedimento in base alla legge utilizzata per l'emanazione del lodo. A tale criterio fanno riferimento (seppur in modo non esclusivo) anche la Convenzione di New York del 1958 e la Convenzione di Ginevra del 1961.
La necessità di adottare ulteriori criteri oltre a quello territoriale nasce dalla considerazione che esso può in alcuni casi non bastare. Si pensi al caso in cui il procedimento si svolga a Parigi fra un americano ed un italiano davanti ad arbitri israeliani che si affidano al regolamento della camera arbitrale di Stoccolma, mentre la decisione viene emessa a Rio de Janeiro.
A questo punto ci soccorre il criterio procedurale che, come menzionato, assume come discrimine il diritto applicato nella controversia - criterio pienamente sostenuto dalla Germania la quale, in sede di ratifica della Convenzione di New York del '58 (ma in seguito modificata sul punto), affermò l'impugnabilità in Germania di sentenze arbitrali rese all'estero secondo la legge procedurale tedesca.
Il nostro ordinamento propendeva per il criterio territoriale, mostrando una certa apertura alla possibilità di non considerare come italiani gli arbitrati svolti sul suolo italiano, ma sulla base di una legge procedurale straniera. Oggi tuttavia, come ancora avremo modo di vedere, ferma restando l'importanza di stabilire la nazionalità dell'arbitrato ai fini dell’impugnazione il codice non disciplina più in maniera differente l'arbitrato interno da quello estero (termine al quale oggi si preferisce quello di arbitrato internazionale).
L'art. 577 della nuova ZPO austriaca testo introdotto dalla recente riforma, fa riferimento, per stabilire la nazionalità dell'arbitrato e di conseguenza la disciplina applicabile, alla sede del tribunale arbitrale, e non alla sede dell'arbitrato tout court (scelta quest'ultima fatta propria dalla Legge Modello all'art. 20). La differente dizione mira a porre in rilievo l'indifferenza del luogo dove si tengono le udienze di conseguenza l'assunzione dei mezzi di prova ai fini dell'applicabilità della legge austriaca, privilegiando a tale scopo "la sede o il luogo legale dell’arbitrato".
Il medesimo articolo prevede al secondo comma che un numero più ristretto di disposizioni, riguardanti l'intervento del giudice ordinario nella formazione del tribunale arbitrale, si applicano anche agli arbitrati la cui sede non è stata ancora determinata, se almeno una delle parti ha la residenza o il domicilio in Austria.
Un terzo gruppo di norme (che concernono l'esclusione della giurisdizione ordinaria, la forma e la validità dell'accordo arbitrale e la sua efficacia in caso di azione davanti al tribunale ordinario, le misure preventive e cautelari disposte dal tribunale arbitrale (sic!), l'assistenza giudiziaria ed infine il riconoscimento dei lodi stranieri) si applica infine anche a prescindere se la sede dell'arbitrato è stata stabilita o se essa non si trova sul territorio austriaco.
L'art. 460 1° comma del ZPP sloveno concede alle parti la facoltà, per i diritti di cui possono disporre, di stabilire per contratto la competenza dell'arbitrato interno. Il 2° comma dello stesso articolo dispone invece che, negli arbitrati in cui almeno una delle parti sia una persona fisica residente all'estero, ovvero una persona giuridica con sede all'estero, possa essere stabilita la competenza dell'arbitrato estero, sempre che per tale lite non sia prevista la competenza esclusiva della Repubblica Slovena.
Da tale dato normativo risulta chiaro che va qualificato come arbitrato interno quello intercorrente fra cittadini sloveni, fra persone giuridiche con sede in Slovenia (o fra i primi e le seconde) e che si svolge sul territorio sloveno, mentre sotto arbitrato estero va compreso quello fra cittadini o persone giuridiche con residenza ovvero sede in stati differenti e che si svolge in territorio straniero. Secondo l'opinione della dottrina va qualificato come arbitrato estero anche quello, il cui procedimento si svolge sul territorio sloveno ma in conformità ad una legge processuale estera. Viceversa, riguardo all'arbitrato svoltosi all'estero sulla base della legge processuale slovenavi è disparità di vedute, nel silenzio della legge, arbitrato come estero oppure interno.
L'importanza di qualificare un arbitrato come interno o come estero è agli occhi di tutti, se si considera le conseguenze di tale scelta.
Qualificare un arbitrato come interno comporta infatti la competenza degli organi giudiziari dello stato in tutti i casi in cui si rende necessario il loro intervento (nomina e sostituzione degli arbitri, impugnazione del lodo, riconoscimento ed esecuzione dei lodi resi all'estero, ecc.).

 

L'arbitrato internazionale
Delineata la differenza fra arbitrato interno ed estero, resta da chiederci, se vi sia spazio per una terza species, quella dell'arbitrato internazionale.
Tradizionalmente il termine "arbitrato internazionale" stava ad indicare l'arbitrato interstatuale, ovvero quello che si svolge fra soggetti di diritto internazionale, mentre per i privati si applicavano le categorie dell'arbitrato interno o dell'arbitrato estero.
Col tempo tuttavia, a fianco della distinzione fra arbitrato interno ed estero, si è sentita la necessità di applicare la definizione di arbitrato internazionale anche per il procedimento fra privati, per accentuarne l’autonomia di disciplina. Questo dato però non cambia il significato dell'arbitrato internazionale in senso stretto, per il quale si intende ancor sempre quello che intercorre fra stati o soggetti di diritto internazionale.
Quanto alla definizione ed all'ambito di applicazione della disciplina dell'arbitrato internazionale la dottrina mostra una molteplicità di posizioni.
Dobbiamo allora cercare un criterio che distingua tale istituto da quello interno e ne giustifichi la differente disciplina.
Il criterio soggettivo non ci soccorre in questo caso, poiché, se la nazionalità delle parti non influisce sulla nazionalità del procedimento ordinario, non si vede perché dovrebbe influire sulla nazionalità dell'arbitrato. In alcuni ordinamenti (per esempio in quello francese) si fa leva sul criterio oggettivo, qualificando come internazionale l'arbitrato nel quale vengono messi in gioco interessi del commercio internazionale. Dal punto di vista procedurale poi si può considerare che, in base alla legge applicata nel procedimento, l'arbitrato sarà o nazionale o estero, ma mai internazionale, non esistendo una legge arbitrale svincolata da qualsiasi ordinamento nazionale e quindi a-nazionale.
Pare potersi ravvisare l'internazionalità dell'arbitrato nei procedimenti nei quali le parti si riferiscono ad istituti appartenenti ad ordinamenti di stati diversi. Un'ulteriore esempio di internazionalità procedurale si può forse scorgere anche nel caso in cui le parti utilizzino, per regolare l'arbitrato, una legge statale diversa da quella del paese in cui l'arbitrato si svolge, poiché in tal caso la legge che regola l'arbitrato dovrà "coabitare" con i principi di ordine pubblico dello stato ospitante.
Tuttavia, l'opinione dottrinale più accreditata ritiene l'arbitrato internazionale un istituto non nazionale per derimere elementi internazionali, a cui le parti affidano la decisione della questione e la cui decisione ha valore esecutivo. Il vero arbitrato internazionale non sarebbe soggetto ad alcun intervento da parte di autorità giudiziarie statali né durante il procedimento (p.e. nomina e sostituzione di arbitri, misure cautelari, ecc.), né dopo di esso (p.e. impugnazioni), in forza della c.d. lex mercatorio.
Tale arbitrato inoltre non potrebbe essere qualificato come interno da nessuno stato ed il suo lodo andrebbe riconosciuto ed eseguito in ogni stato con un procedimento_speciale. Di fatto però, dato che un tale arbitrato non è ancora stato disciplinato, non possiamo dire che esista un arbitrato veramente internazionale.
Numerose camere arbitrali (la CCI di Parigi, ma anche la Camera Arbitrale Europea e la Camera Arbitrale Nazionale ed Internazionale di Milano) evitano di inserire nei loro regolamenti qualsiasi riferimento ad ordinamenti nazionali. Esemplare, in tal senso, la decisione della Corte di Appello di Parigi in Bendane Derossi International[1], la quale negava la presumibilità dell'applicazione della legge francese nell'impugnazione di un arbitrato reso a Parigi davanti alla Camera di Commercio Internazionale, dato che le parti non erano di nazionalità francese e che il regolamento CCI non fa alcun riferimento circa la sua applicabilità. Anche gli arbitrati regolati da convenzioni internazionali,quali la Convenzione di Washington del 1965 per il regolamento delle controversie relative ad investimenti tra stati e cittadini di altri stati, vanno annoverati tra i cosiddetti arbitrati internazionali.
Conclude Rubino - Sammartano: "Si può quindi affermare che sono da considerarsi come arbitrati internazionali i procedimenti disciplinati da una normativa procedurale appartenente a più ordinamenti, o da un regolamento arbitrale non appartenente ad uno specifico ordinamento, o derivanti da convenzioni internazionali"[2].
Della materia si occupa anche il modello di legge UNCITRAL, la quale stabilisce all'art. 1, punto 3°, che bisogna ritenersi internazionale l'arbitrato nel quale è presente una delle seguenti condizioni:
a) Se le parti che hanno stipulato la clausola compromissoria al momento della sottoscrizione hanno sede[3] in stati differenti;
b)  Se uno dei seguenti luoghi è sito fuori dello stato in cui le parti hanno sede:
§  la sede dell'arbitrato, espressamente indicata nella convenzione d'arbitrato, ovvero con essa compatibile;
§  il luogo in cui devono essere (almeno in parte) eseguite le prestazioni, derivanti da un rapporto fra le parti tratta di un luogo strettamente connesso con l'oggetto della lite;
 e) Se le parti hanno specificamente previsto che l'oggetto della lite riguarda più stati.
Dal dato normativo si può evincere che di arbitrato internazionale si può parlare, secondo la legge Modello, in primo luogo quando le parti hanno sede in stati diversi; ulteriormente, si dà rilievo alla sede dell'arbitrato ed al luogo in cui le prestazioni devono essere eseguite.
Di particolare rilievo è però la previsione di cui al punto e) la quale prevede che, ai fini della legge Modello, vada qualificato come internazionale anche l'arbitrato espressamente previsto come tale dalle parti, a prescindere dal fatto che esso abbia realmente qualche elemento internazionale. Un tale inquadramento conferma la tendenza dell'arbitrato internazionale a svincolarsi da qualsiasi ordinamento processuale statale.
Da notare come la Legge Modello non ponga distinzioni fra arbitrato estero ed arbitrato internazionale, termine da ritenere oggi comprensivo di entrambe le evenienze, pur concettualmente distinguibili ed in passato distinte dalla dottrina italiana.
Il legislatore italiano ha con il recente decreto legislativo espunto dal codice di rito gli articoli che riguardavano l'arbitrato internazionale. Per comprendere questa mossa, che è lungi dal rappresentare una chiusura nei confronti dell'istituto, dobbiamo fare riferimento alla legge delega contenuta nella legge 80/05. La delega imponeva al legislatore di rendere l'arbitrato interno più deformalizzato proprio sulla scorta degli artt. 832 e ss. che disciplinavano l'arbitrato internazionale Con l'eliminazione di tale disciplina, l'arbitrato internazionale è stato dunque attratto nell'alveo di quello interno, reso più duttile.
La stessa soluzione è stata adottata anche dalla recente riforma austriaca, la quale, come quella italiana, non fa distinzioni circa la disciplina applicabile all'arbitrato nazionale ed a quello internazionale.

 

NOTE

[1] Commander of the Ari Forces of the Islamic Republic of Iran, c. Bendone Derossi International, App. Parigi 20 dicembre 1984.
[2] Vedi Rubino-Sammartano Mauro, Il diritto nell’arbitrato, 3° ed., CEDAM, Padova 2002, pag. 166.
[3] In originale “place of business”.

 

 

Vincenzo Porcasi: commercialista. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, specializzato in questioni di internazionalizzazione di impresa, organizzazione aziendale, Marketing globale e territoriale. Autore di numerosi saggi monografici e articoli, commissionati, fra l’altro dal C.N.R.-Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero del Lavoro. Incarichi di docenza con l’Università “LUISS”, con l’Università di Cassino, con l’Università di Urbino, con l’Università di Bologna, con la Sapienza di Roma, con l’Università di Trieste, e con quella di Palermo nonché dell’UNISU di Roma. E’ ispettore per il Ministero dello Sviluppo economico. Già GOA presso il Tribunale di Gorizia, nonché già Giudice Tributario presso la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna.